Le parti hanno pochissimo interesse a evitare il meccanismo di tagli e aumento delle tasse. Per il partito di Obama, che ha vinto le elezioni 2012, giurando di voler aumentare le tasse è quasi una vittoria. Agli altri invece non dispiace addossare al presidente la responsabilità di aver fatto salire le imposte per tutti gli americani
E’ una corsa contro il tempo quella che impegna in queste ore Barack Obama e la leadership del Congresso. Le possibilità di evitare il “fiscal cliff” prima dello scoccare del 1 gennaio si assottigliano sempre di più. Nel pomeriggio di oggi ora di Washington, le 21 in Italia, Obama incontrerà alla Casa Bianca i leader democratici e repubblicani per cercare di arrivare a una soluzione in extremis.
Nonostante l’allarme lanciato da molti sui possibili, disastrosi effetti del “fiscal cliff” – un meccanismo combinato di aumento delle imposte e tagli alla spesa che potrebbe costare circa 500 miliardi di dollari all’economia americana – l’aria che si respira in queste ore a Washington è paradossalmente tranquilla. Tutti sembrano ormai convinti che lo scoglio del 31 dicembre verrà superato e che una soluzione potrà essere raggiunta soltanto nelle prime settimane di gennaio. Anche se la Camera è stata convocata per domenica.
Al di là delle accuse e degli appelli di facciata – “Ci portano al disastro”, ha spiegato ieri il capogruppo democratico del Senato, Harry Reid – a Washington in queste ore si respira una paradossale tranquillità. La ragione di tanto, celato, distacco sta in una semplice verità che nessuno ha interesse a esprimere pubblicamente. E cioè che le parti – democratici e repubblicani insieme – hanno pochissimo interesse a evitare il “fiscal cliff”.
La cosa è vera anzitutto per i democratici, che hanno vinto le elezioni 2012 giurando di voler aumentare le tasse per i redditi superiori ai 250 mila dollari, e che ora sembrano disponibili ad alzare la soglia a 400-500 mila dollari, venendo incontro alle richieste dei repubblicani. La concessione potrebbe non risultare gradita a buona parte del loro elettorato, soprattutto a quello più progressista, poco propenso ad accettare anche i tagli a Medicare e Social Security che il partito di Obama sembra disposto a offrire ai repubblicani. I sondaggi mostrano che più del 50% degli americani approva il modo in cui il presidente sta gestendo la crisi, contro un 20% che sostiene invece la posizione dei repubblicani. A questo punto, dunque, per la Casa Bianca e i democratici appare più conveniente aspettare il 1 gennaio e tornare a trattare con i repubblicani da una posizione di forza, addossando proprio al GOP la responsabilità del fallimento nei negoziati.
I repubblicani, da parte loro, sono ancora più interessati a non trovare, per un momento, un accordo. Molti di loro sono arrivati al Congresso, soprattutto alla Camera, sull’onda del trionfo delle istanze antitasse e antifederali del Tea Party, nel 2010. Molti di loro hanno firmato il “Taxpayer Protection Pledge”, la promessa “a opporsi a qualsiasi aumento di tasse per individui e società” redatto dal conservatore libertarian Grover Norquist. Molti di loro, infine, si stanno già preparando alle elezioni di midterm, nel 2014. Il loro bacino elettorale coincide con aree prevalentemente bianche e conservatrici, che alle ultime elezioni hanno votato per Mitt Romney, e dove un accordo con Obama per alzare le tasse e rinnovare i sussidi di disoccupazione per due milioni di americani è considerato alla stregua di un crimine politico.
“La gente che mi contatta mi chiede di restare fermo sulle mie posizioni, e cioè continuare a battere sul lato della spesa”, ha detto Jeff Duncan, deputato repubblicano di un distretto particolarmente conservatore del South Carolina, alludendo alla richiesta di tagliare la spesa sociale, e non alzare le tasse, che molti tra i suoi elettori gli stanno sottoponendo. La strategia di molti deputati del GOP è quindi al momento soprattutto questa. Lasciar passare con un nulla di fatto il 31 dicembre. Addossare a Obama la responsabilità di aver fatto salire le tasse per tutti gli americani. Riprendere a negoziare e quindi firmare un accordo con i democratici per tagliare nuovamente le tasse. “A Washington non troveranno un accordo sul ‘fiscal cliff’”, ha detto nei giorni scorsi proprio Grover Norquist. E la previsione, a questo punto, pare quasi una certezza. Eppure fino a pochi giorni, prima di rientrare dalla vacanze alle Hawaii, il presidente sembrava fiducioso.