Uno dei problemi che caratterizzano il dibattito pubblico sull’università e la ricerca è l’uso intenzionale di dati ed informazioni che deformano la realtà. Giuseppe de Nicolao ha recentemente raccolto una guida alla demistificazione delle leggende sull’università e la ricerca messe in giro da un gruppo di economisti di scuola neo-liberista, la maggior parte operanti in Italia alla Bocconi o nelle famose “migliori università americane”. Questa serie di luoghi comuni è stata utilizzata sia dal ministro Gelmini che dal ministro Profumo: non solo la politica ma il lessico comunicativo è stato lo stesso durante i due ministeri.
La settimana scorsa altri due economisti della stessa scuola, Andrea Ichino e Daniele Terlizzese, hanno scritto un articolo sul Corriere della Sera, in cui per dare supporto alla mistificatoria tesi “i poveri pagano l’università ai ricchi” hanno riportato una serie di dati e informazioni non veritiere. Ieri è stato il turno di un’altra coppia di economisti, Francesco Giavazzi e Alberto Alesina, che, di nuovo dalle colonne del Corriere della Sera, hanno spiegato perché nell’Agenda Monti ci sarebbe troppo Stato. Con i colleghi di Roars abbiamo già analizzato l’Agenda Monti mostrando che questa si muove in perfetta continuità con le politiche del governo Berlusconi che stanno non solo ridimensionando l’università ma orientando la ricerca a essere non solo al servizio dell’impresa quanto piuttosto completamente assoggettata a questa.
Scrivono dunque Giavazzi e Alesina: “… Ci spiace parlare della nostra università, ma la Bocconi non riceve sussidi pubblici, si finanzia con rette scolastiche che sono modulate in funzione del reddito, ed è uno dei pochi atenei italiani che non fa brutta figura nelle classifiche internazionali. Riprodurre questo modello altrove non è impossibile.”
Non riceve sussidi pubblici? Vediamo un po’. Il contributo pubblico alle accademie private è stato nel 2012 di 89,6 milioni di euro, contro i 79.5 mln del 2011, di cui 14,95 mln (13,5mln nel 2011) alla Bocconi. Come risulta dalla tabella che determina la ripartizione del fondo agli atenei privati, le voci sono state: 9 mln in misura proporzionale alla quota attribuita agli stessi nel 2011, 4.2mln come compensazione del mancato gettito delle tasse e 1.8 mln destinato a fini premiali agli atenei. Considerando che la Bocconi ha circa 13,000 studenti il costo per i contribuenti per ogni studente che frequenta la Bocconi è di 1.150 euro: per dare un ordine di grandezza questa cifra è leggermente inferiore alle tasse universitarie pagate in media da uno studente italiano (circa 1.400 euro).
Considerando i finanziamenti complessivamente ricevuti dalle amministrazioni pubbliche, apprendiamo che nel bilancio 2009 i contributi (statali o regionali) sono ‘scesi’ da 35 a 32 milioni. Il che porta il costo di ogni studente per la collettività a circa 2.400 euro, molto più delle tasse mediamente pagate nelle università statali. Possiamo dunque concludere che la Bocconi riceve consistenti sussidi pubblici che sono aumentati del 10% nell’ultimo anno, proprio quando il finanziamento agli atenei pubblici ha subito un ulteriore taglio del 5% (che si è andato ad aggiungere ad una serie di tagli che continuano dal 2008).
Ed ora veniamo alle classifiche internazionali, tanto spesso invocate come una sorta di arma di distruzione di massa contro le università statali italiane. Abbiamo già espresso altrove non poche perplessità in merito, per cui non siamo certo noi a sostenere la loro assoluta affidabilità ed esattezza nel valutare i meriti relativi delle varie università. La situazione è la seguente: nessuna delle università private, né quelle sorte negli ultimi anni, né quelle “storiche” arriva entro le prime 500 o 400 posizioni. Ad esempio la Bocconi nelle classifiche generaliste (che considerano anche università specializzate), è assente tra le prime 400, 500 o 700 università del mondo in ben 7 ranking su 8. Quindi se per classifiche internazionali si considerano quelle generaliste, cui si fa riferimento nella discussione dei rankings delle università, la situazione è diversa da quanto scritto dai due economisti, ed addirittura vi sono delle università statali che hanno posizionamenti migliori della Bocconi se si considerano specifici campi di ricerca. Ad esempio per la più citata di queste classifiche, l’ARWU, nelle prime 100 al mondo compaiono 6 dipartimenti di fisica, 2 di matematica, 2 di chimica, uno di ingegneria e zero di economia. Nel QS Rankings la Bocconi, nella categoria Social Sciences and Management, occupa il 46° posto su 50, mentre in Engineering and Technology il Politecnico di Milano, università statale, occupa il 48° posto.
In conclusione la Bocconi non è affatto un faro di eccellenza internazionale ed in Italia, se si guardano le classifiche scorporate o il numero di pubblicazioni/citazioni delle singole discipline, vi è di molto meglio; però lo Stato sovvenziona i suoi studenti e la Bocconi non paga l’IMU. Insomma un ottimo esempio del capitalismo all’italiana, quello a cui Giavazzi è tanto affezionato: Libero Mercato sì ma finché si scherza.
(*articolo scritto in collaborazione con Francesco Coniglione)