Sta per chiudersi il 2012, l’anno più felice di sempre. L’anno con meno fame nel mondo, con meno conflitti bellici, con meno malattie e con una prosperità mai conosciuta prima. A dichiararlo è stato il magazine inglese “The Spectator”, riferendo numeri – statistiche ed elaborazioni dati – della Banca Mondiale.
Il settimanale britannico esordisce con i dati sulla povertà globale: nel 1990 le Nazioni Unite avevano annunciato gli obiettivi di sviluppo del millennio, tra i quali la diminuzione della metà della povertà nel mondo entro il 2015. Già nel 2008 questo risultato è stato raggiunto, e la situazione continua a migliorare. Progressi medici e tecnologici consentono di vivere più a lungo, e proprio in questo 2012 che va a chiudersi l’aspettativa di vita in Africa ha raggiunto i 55 anni di vita, modificando un paradigma tristemente noto soprattutto nel Terzo Mondo per via del diffondersi dell’Aids (dieci anni fa questa stessa aspettativa era ferma a 50 anni). “Viviamo in un periodo d’oro con la maggior parte dei paesi in via di sviluppo che guardano con ottimismo al futuro, e le persone sono uscite dalla povertà al tasso più veloce mai registrato. Il numero dei morti inflitti da guerre e calamità naturali è molto basso”, ha affermato The Spectator.
Però in realtà, come si evince anche dal fondo, tutto dipendente da come si vedono le cose, e soprattutto da dove si vedono. Questa felice prospettiva si ribalta alla luce di un occidente che rimane “in stasi economica”, come dichiara la stessa testata inglese. “Se osservato dal mondo occidentale, il 2012 sarà ricordato come l’anno che ha visto svanire gran parte della ricchezza, ha ridotto i posti di lavoro e costretto molte famiglie a pesanti rinunce”, ha commentato Vittorio Sabadin, analizzando proprio i dati proposti da The Spectator. E allora spostando il fuoco d’attenzione nella nostra Europa e soprattutto nel nostro Paese (o nelle aree mediterranee del continente) possiamo affermare che il 2012 si chiude con molti chiaroscuri, e con una incertezza che rende tutto più difficoltoso. C’è un problema fra tutti che è legato alla crescita, al posto di lavoro, alla sua salvaguardia, al suo mantenimento e alla creazione di nuove opportunità.
Proprio in queste ore la Fisac-CGIL ha pubblicato il nuovo rapporto sulle retribuzioni curato da Agostino Megale. Dai dati emerge che guadagniamo meno che nel 2000: infatti il netto delle retribuzioni a prezzi correnti è sceso sotto quello di dodici anni fa. E sul fronte inflazione la perdita di potere d’acquisto si aggira sui 5.338 euro. Crollano anche le giornate lavorative a tempo pieno (diminuite di oltre 1,4 milioni), mentre il numero degli occupati scende a 22,9 milioni (lo scorso anno era a 23,4 milioni). Ecco, con buona pace di visioni ottimistiche d’Oltremanica da noi è soprattutto su questo terreno che si gioca la sfida per un 2013 che parte in salita, in recessione. E al quale la nuova classe politica sarà chiamata ad intervenire (e alla svelta).