E' tornato a casa l'imprenditore di Lerici sequestrato lo scorso 16 dicembre. Il blitz è stato un'operazione congiunta di carabinieri e polizia. Nessuno scontro visto che le forze dell'ordine hanno aspettato che i rapitori, due italiani e un albanese, uscissero prima di fare irruzione. Nessuna somma è stata pagata
E’ stato liberato l’imprenditore spezzino Andrea Calevo, 30 anni, che era stato rapito la notte del 16 dicembre scorso dalla sua villa sulle alture di Lerici. A liberare il giovane sono stati, in una operazione congiunta, polizia e carabinieri. L’ostaggio era prigioniero a Sarzana (La Spezia) in uno scantinato senza finestre, nell’abitazione di uno dei sospettati, ed è stato ritrovato incatenato.
Da giorni il procuratore capo di Genova Michele Di Lecce, che guida la Direzione distrettuale antimafia che ha coordinato l’indagine, esprimeva ottimismo.
Calevo era stato portato via da almeno tre banditi armati che lo avevano atteso la notte del 16 dicembre davanti alla sua villa. Dopo averlo minacciato con pistole lo avevano costretto a farsi aprire la casa: legata la madre, si erano fatti aprire la cassaforte e avevano portato via 3000 euro. Poi, uno di loro, con accento slavo, aveva detto alla donna: “Ora lo portiamo con noi, te lo rimandiamo presto”. Erano fuggiti con la sua auto, una Audi A1, che venne ritrovata nel fiume Magra non distante dal luogo del rapimento.
Dalle prime indiscrezioni emerge che era stato chiesto un riscatto di 8 milioni di euro con una lettera inviata il 24 dicembre e indirizzata alla madre di Calevo, ma secondo quanto dichiarato dal procuratore Di Lecce nessuna somma è stata pagata. In questi giorni di attesa, per due volte la sorella Laura ha lanciato appelli ai rapitori: “Fateci sapere se Andrea sta bene”. La frase è sempre stata questa. Hanno temuto i familiari, hanno temuto gli amici. Hanno temuto gli investigatori che hanno definito il sequestro “anomalo”. Ma con il passare dei giorni il procuratore Di Lecce ha fatto intendere che gli indizi stavano andando al loro posto. Sono stati perquisiti casolari, campi nomadi, altre abitazioni. Una attività che ha permesso a carabinieri e polizia di trovare tracce per poter arrivare a chiudere il cerchio intorno ai banditi. Stamani l’epilogo.
Andrea Calevo è già rientrato a casa: ha detto “grazie” agli uomini del Ros che lo hanno liberato e si è messo a piangere. “Voglio tornare da mia mamma. Credevo di essere legato a una gamba e non sapevo cosa succedesse. Ringrazio tutti della solidarietà. Ho tentato anche di mandare un messaggio a un amico perché credevo di trovarmi alla Spezia in località Battifollo, ma non ci sono riuscito”, ha detto Andrea prima di entrare nella sua abitazione.
Tre i fermi eseguiti dalla Dda di Genova. Si tratta di due italiani, nonno e nipote, e un albanese. Il procuratore ha riferito che l’operazione “è stata frutto di una attività svolta congiuntamente e in modo molto professionale da Carabinieri e Polizia”. Non c’è stato nessuno scontro tra le forze dell’ordine e i sequestratori. Infatti carabinieri e polizia, prima di fare irruzione nella cantina di via del Corso 35, a Sarzana, hanno aspettato che i sequestratori uscissero. Nel frattempo sono in corso le ricerche di altre persone eventualmente coinvolte.
Il capo della banda si chiama Pierluigi Destri, 70 anni, di Ameglia, piccolo imprenditore edile, titolare della villa dove Calevo era detenuto e noto alle forze di polizia per reati legati allo spaccio e rapine in banca. Insieme a lui il nipote Davide Bandoni, 23 anni, probabilmente anche lui nel giro della droga. I due si sono fatti aiutare da un complice, Vila Fabjion, albanese, 20 anni, operaio nel settore dell’edilizia.
Secondo quanto emerso i tre rapitori sono stati incastrati da una telefonata, “arrivata il giorno dopo il sequestro e fatta da Pisa il 17 dicembre da una cabina telefonica”. La chiamata è stata tracciata da telecamere ambientali e ha portato all’individuazione dei responsabili. A tradire i sequestratori anche un’intercettazione telefonica in cui ordinano una pizza a domicilio, una sola. A quel punto gli investigatori hanno capito che quella pizza era stata ordinata non tanto per gli abitanti della villetta, che erano due, ma per l’ostaggio che presumibilmente era nascosto lì. Questo è stato l’indizio che ha fatto pensare agli investigatori che l’ostaggio fosse nella villa.