‘Ritorna la speranza’ (dice il manifesto di una nuova destra) e ha gli occhi di La Russa. La Russa infatti è di quelli, che pur di non andare con Berlusconi, hanno fondato un partito. Tanto non c’è bisogno di firme di cittadini per chi è già radicato alla Camera e vorrebbe sfuggire al portone chiuso. È un imbroglio. Perché lui sì e gli altri no, una democratica differenza di centinaia di migliaia di firme da raccogliere davvero da un capo all’altro della penisola se non sei già dentro?

Intanto si ode uno scampanio vaticano che suona a raccolta per Mario Monti. Bisogna ammettere che la vicenda è strana. Se un uomo nuovo avanza con un suo programma (la mitica agenda), un suo lavoro già svolto (giudicatelo come volete, ma non è poco, in un anno) e vanta, con buone ragioni, il salvataggio del Paese dal baratro, e va e viene attraverso l’Europa tra un coro di applausi e di autorevolissimi apprezzamenti, c’è qualcuno che può spiegare la corsa dei cardinali a sostenerlo? 

Trasformano un dignitoso evento politico che poteva benissimo proseguire con il loden e senza la stola, in un teatro alla Jean Genet. D’accordo, Monti è cattolico. Ma anche John Kennedy lo era, e ha fatto tutto da solo (cercare i voti, impegnare la sua credibilità e poi governare).

Qualcosa è successo, adesso, in Italia, in un momento difficile ma non così spaventoso come quando Berlusconi governava l’Italia, diffamandoci in Europa, si premiava da solo, non esitava a proclamare pubblicamente “esemplare eroe italiano” un pluriassassino di mafia, organizzava “cene eleganti” sempre meno nascoste, pagando personalmente le donne che lo intrattenevano (a proposito, che fine ha fatto il “rapito” ragionier Spinelli?) e solo la moglie, facendosi largo fra commentatori con cattedra e spazio adeguato sui grandi giornali, ha avuto il coraggio di denunciare l’indecenza, il ridicolo, il precario stato mentale del marito malato.

Dunque Monti, candidato rispettabile, noto e riconosciuto, in un Paese finora reso non rispettabile da diciotto anni di malavita al governo, è protagonista di un evento non chiaro: il nuovo leader si nega, fa l’Amleto, poi si concede, ma alla guida elettorale e politica di un segmento sproporzionatamente piccolo (nel senso dei numeri e nel senso della crescita possibile) di partiti e di potenziali elettori.

E mentre lo fa, i cardinali si sovrappongono l’uno all’altro per celebrarne virtù e qualità, una specie di imbarazzante canonizzazione in vita.

Che Monti sia un’altra cosa, con un’altra agenda, molto più cara, di là dal Tevere, della riforma Fornero, per esempio le coppie di fatto, il pericolo gay (pericolo per la pace, secondo Papa Ratzinger, ricordate?) il rischio di un ritocco civile alla legge sulla procreazione assistita? Certo la domanda non è amichevole. Ma è inevitabile. E ci porta di fronte a una delle principali figure di questo presepe pirandelliano.

Invece dei pastori, dei santi e dei magi, ci sono figure altrettanto finte e simboliche, però parte di un puzzle che può cambiare tutti i significati. Tra i finti Magi di questo presepe c’è uno che non viene per portare doni ma per prenderne.

Viene da un Paese chiamato “Conflitto di Interessi”. Ci dice una esploratrice di provata bravura, Milena Gabanelli (Corriere della Sera, 29 dicembre) che, sommando l’effetto di ogni annuncio di “discesa in campo” (cinque, diversi e non consecutivi, anzi deliberatamente tenuti in sospeso) i titoli Mediaset (finora in costante declino) hanno avuto un balzo complessivo del 27 per cento. È un tesoretto per il quale vale la pena di forzare le porte degli studi di una decina di televisioni, una dopo l’altra, a un giorno o a un’ora di distanza, includendo tutta la Rai, e senza incontrare non dico il divieto del metronotte (che cosa ci fa quel signore truccato da varietà negli studi di un telegiornale?), ma almeno dei consiglieri di amministrazione Rai di nomina ‘società civile’ il cui silenzio, invece, è stato educatissimo.

Per esempio come mai il buon zampognaro Bersani, che tutti hanno ammirato quando si è messo in fila con gli altri zampognari (uno rumorosissimo) per trovare il suo posto nella scena, non ha chiamato pastori e pecore a fare blocco davanti alla prepotenza di quello dei Magi che non dona niente e prende tutto e dopo avere distrutto e depredato mezzo presepe, vuole anche che lo mettano il più vicino possibile alla greppia?

Ma per il momento, nel finto presepe delle statuine che sono e non sono, vere e non vere (quella di Vendola, cercatore di pecorelle smarrite, sta un po’ nascosta dalla mole dello zampognaro Bersani, eppure è forse la ragione di tutto il trambusto sui valori cristiani) non tutti i significati e i ruoli sono chiari.

Per esempio la figura distinta del pastore col loden sembra la sola a sapere quale mano mette i pezzi del presepio e dove. Sa di poter annunciare che guiderà in modo del tutto nuovo e diverso. Venite. Non dice dove. E nel suo gregge non riesci a identificare – per ora – una pecora nuova, o, tranne lui, un pastore diverso.

Il Fatto Quotidiano, 30 Dicembre 2012

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