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Siria, un anno sanguinoso anche per i giornalisti

Secondo il bilancio annuale di Reporter senza frontiere, nell’anno più sanguinoso dal 1995 per gli operatori dell’informazione, nel 2012 in Siria sono morti 17 giornalisti professionisti e 44 citizen journalist, testimoni indesiderati delle atrocità commesse nel corso del conflitto.

A questi numeri devono essere aggiunti quelli dei giornalisti professionisti e dei citizen journalist in carcere, rispettivamente almeno 21 e 18.

Proprio a un giornalista siriano, Mazen Darwish, è stato conferito il Premio per la libertà di stampa 2012 di Reporter senza frontiere, Le Monde e TV5Monde. Mazen Darwish, presidente del Centro siriano per i media e la libertà d’espressione, è in isolamento in un carcere segreto dal 16 febbraio di quest’anno. Le autorità siriane si rifiutano di rivelare dove sia detenuto e di portarlo di fronte a un giudice. Non gli è consentito avere contatti con familiari e avvocati.

Per evitare di essere imprigionati dai servizi segreti o uccisi dai soldati fedeli al presidente Bashar al-Assad oppure di venire rapiti e uccisi dall’opposizione armata, decine di giornalisti hanno lasciato la Siria. Alcuni hanno avuto il coraggio di defezionare pubblicamente, come la famosa presentatrice televisiva Ola Abbas. Altri continuano a rimanere al loro posto, negli organi d’informazione controllati dal governo.

Il clima di paura e paranoia che si respira in quelle redazioni lo hanno descritto a Parigi il 28 dicembre, nel corso di una conferenza stampa, gli ultimi tre giornalisti fuggiti dalla Siria: Kamal Jamal Beyk, Lama al-Khadra e Baddur Abdul Karim, rispettivamente direttore dei programmi, capo redattrice della politica e capo redattrice della cultura di Radio Damasco

I tre giornalisti hanno maturato la decisione di fuggire durante l’estate, dopo l’assassinio di un loro amico e collega, Mohammed al-Said, rapito e ucciso da al-Nusra, una formazione di estremisti islamici dell’opposizione armata. Dopo aver trascorso un periodo in Libano, prima di Natale sono arrivati a Parigi, grazie all’assistenza del governo francese.

“Il nostro compito era uccidere con le parole” – ha sintetizzato Lama al-Khadra. “È difficile indossare sempre una maschera, pensare e parlare come gli uomini del regime. Ci limitavamo a denigrare l’opposizione e a riprendere i lanci della Sana“, l’agenzia di stampa nazionale.

“Ci minacciavano, comprese le nostre famiglie. I servizi segreti mi hanno interrogato tre volte” – ha spiegato Kamal Jamal Beyk.

Per Baddur Abdul Karim, “lavorare nei media di stato in Siria era come stare in una prigione invisibile. Non eravamo più giornalisti: alcuni stavano dalla parte del regime e non lo nascondevano affatto, altri restavano zitti perché non avevano altra scelta”.

Jamal Beyk ha raccontato dei corsi di formazione tenuti da ‘esperti di comunicazione iraniani’ e dei premi conferiti ai giornalisti che dimostravano maggiore zelo ed entusiasmo per il governo, consistenti in viaggi in Libano per seguire stage nella redazione dell’emittente satellitare al-Manar di Hezbollah. 

A Parigi, Kamal Jamal Beyk, Lama al-Khadra e Baddur Abdul Karim intendono lavorare al progetto di un’emittente radiofonica che dovrebbe costituire, nelle loro parole, “l’embrione di un nuovo modello di servizio radiofonico pubblico dopo Assad”.