“Dopo aver visto Parigi, le altre città ti sembreranno posti orribili”
“Anche New York?, Londra? Roma?”
“Sì, anche New York, Londra e Roma”
Questo breve dialogo si è verificato dieci, cento, mille volte tra me, sfigato che a 32 anni non aveva ancora visto la ville lumière, e l’universo mondo che, invece, c’era stato eccome. Per Capodanno, ho colmato la lacuna. In realtà ero a Disneyland Paris, ma mi sono ritagliato una giornata libera per visitare la capitale francese. Ecco, ho camminato sette ore senza sosta, massacrando i miei pigri piedi, e ho visitato le cose più importanti da visitare.
Gli Champs-Elysées, una sorta di Rambla ripulita, una via del Corso elefantiaca, ospitavano per il periodo natalizio un interminabile e stucchevole mercatino. Mele caramellate e kebab, addobbi made in China e vin chaud, tutto insieme a formare un monumento al kitsch che urlava vendetta. Da salvare solo la pasticceria Ladurée, tempio dei macarons più buoni del mondo.
Place Vendome è quasi fastidiosa con la sua immacolata eleganza, zeppa di diamanti dai prezzi immorali e di signore impellicciate con cane al seguito. In rue Saint-Honoré, poi, le mie viscere si sono contorte in uno spasmo mortale. Tutte quelle vetrine griffatissime mi hanno disturbato fisicamente. Lo zenit di questa immorale passeggiata nel lusso è stato raggiunto di fronte alla vetrina Prada. Al centro della composizione natalizia c’era una valigia di coccodrillo da 25mila euro (venticinquemilaeuro, da dire tutto d’un fiato per sconfiggere il terrore). E io, trentenne figlio delle compagnie low cost, ho pensato subito: “Cacchio, ma è troppo grande! Non vale come bagaglio a mano!”.
Un’amica, che pazientemente mi ha fatto da guida per le strade parigine, ha placato il mio scetticismo assicurandomi che c’è qualcuno che sborsa una tale somma per una valigia. Not in my world, baby. Ma tant’è…
Il coté très chic della visita è stato completato da un espresso da 8 euro al glorioso Hotel Costes, che in effetti costare costa e nemmeno poco e che ha un arredamento così pacchiano e barocco da far sembrare il rococò un trionfo di minimalismo.
Louvre e Tuileries hanno una magnificenza che onestamente colpisce e stordisce. Ma anche lì, dov’è l’anima? Dov’è il caos creativo che una città deve avere per conquistarmi? Tutto troppo pulito, lineare, regale. Tutto troppo francese.
Le Marais, invece, mi era stato presentato come “la zona che ti piacerà di più, criptozecca come sei”. No, per niente. Perché non ha niente di caratteristico e di originale. È l’Eixample di Barcellona, è Soho di Londra, è Chueca di Madrid. L’enclave libertina, il paradiso rainbow, la sala giochi per adulti.
L’unico angolo della città che ho sentito mio è stato Montmartre, forse per le suggestioni artistico-cultural-letterarie di cui mi sono sempre nutrito, ma il programma “Parigi in un giorno” aveva tempi serratissimi, quindi non ho potuto approfondire.
La Torre Eiffel non l’ho vista nemmeno da vicino. Quell’ammasso di ferraglia non meritava troppa attenzione, almeno a detta delle mie guide.
Com’è Parigi, dunque? Ha soppiantato nel mio cuore la vitalità urbana di New York, l’estroso multiculturalismo di Londra, la caciarona e pigra bellezza di Roma? No, nemmeno per sogno. Non ho visto nemmeno l’ombra di un’anima, tra boulevard e piazze immacolate. Non ho visto il caos creativo che deve essere il motore di ogni città. Ci tornerò, forse, perché persino ai francesi va data una seconda possibilità, ma per adesso, sinceramente, a me Parigi boh…