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Usa, dal fiscal cliff al bando delle armi: sfide, successi e rischi per Barack Obama

Il primo presidente afro-americano verrà ricordato per la riforma sanitaria, ma il prossimo appuntamento elettorale, nel 2014, rende dunque deputati e senatori del partito Repubblicano ancora più decisi nella loro opposizione alla Casa Bianca. Desiderosi di far fallire l’agenda di uno dei presidenti più odiati, a destra, degli ultimi decenni

Barack Obama inizia il 2013 con una certezza, in qualche modo riconosciuta anche dagli avversari. La sua presidenza – che si allargherà per altri quattro anni – è già in qualche modo “storica”. “I presidenti sono ricordati per grandi cose – spiega lo storico Douglas Brinkley -. Franklin Delano Roosevelt per il Social Security. Truman per aver creato la CIA. Eisenhower lega il suo nome alla rete delle highways. Kennedy alla Luna”. Da questo punto di vista, Obama può dirsi già soddisfatto. C’è una riforma sanitaria, limitata ma comunque storica, che porta il suo nome – l’Obamacare, appunto – e ci sono due guerre terminate sotto la sua presidenza, oltre a un’altra realizzazione, molto più cruenta ma comunque importante per molti americani: l’assassinio di Osama bin Laden. Ciò non toglie che i prossimi quattro anni siano per il presidente democratico – il primo presidente afro-americano della storia degli Stati Uniti, altra conquista storica – ricchi di pericoli e potenziali cadute. Le sfide alla sua autorità e alla portata storica della sua presidenza vengono da sinistra: dalle organizzazioni per i diritti umani che continuano a contestare la politica USA degli assassini per mezzo dei droni in Pakistan, Afghanistan e nelle altre aree al centro della war on terror americana; e dai settori più progressisti del partito democratico, che contestano la tendenza di Obama a trovare un compromesso, sempre e comunque, con i repubblicani”.

La vera minaccia ai futuri quattro anni viene però soprattutto da destra. Il presidente pensava che la vittoria elettorale 2012 contro Mitt Romney – così decisa e risonante – avrebbe ammorbidito la resistenza dei repubblicani. “Non è stato così – fa notare ancora Douglas Brinkley – e non lo sarà nei prossimi mesi con le elezioni di midterm in vista”. Il prossimo appuntamento elettorale, nel 2014, rende dunque deputati e senatori del GOP ancora più decisi nella loro opposizione alla Casa Bianca, desiderosi di far fallire l’agenda di uno dei presidenti più odiati, a destra, degli ultimi decenni.

In attesa di arrivare al 2016, e ritirarsi a vita privata per scrivere la cronaca degli otto anni alla Casa Bianca (un memoir, dicono i bene informati, in cui Obama parlerà del tema sin qui tabù della sua presidenza, quello della race, dell’appartenenza etnica), queste sono con ogni probabilità le questioni politiche che daranno più filo da torcere a Obama nell’immediato futuro.

FISCAL CLIFF

La Casa Bianca ha descritto come una “vittoria” il compromesso raggiunto per evitare il “baratro fiscale”. Il presidente porta infatti a casa un risultato importante. Per la prima volta, negli ultimi due decenni, le tasse aumentano, sia pure per una fascia molto ridotta di americani: le coppie che guadagnano più di 450 mila dollari e i singoli con un reddito superiore ai 400 mila dollari. In realtà, come fanno notare alcuni analisti e politici democratici (per esempio il senatore Tom Harkin, che non a caso ha votato contro l’accordo), è soltanto la radicalità raggiunta da settori sempre più consistenti del partito repubblicano a far apparire l’accordo “una vittoria” per la Casa Bianca. Il GOP ha infatti raggiunto in questa occasione un risultato che alcuni anni fa sarebbe stato considerato storico per i conservatori Usa. Le tasse sono state definitivamente tagliate per circa il 99% degli americani (una misura, vale la pena di ricordarlo, che risale alla presidenza di George W. Bush) ed è stata resa permanente una estate tax, una tassa di successione, particolarmente benigna, che esime da ogni esborso le ricchezze sotto i 5 milioni di dollari.

Sono questi gli aspetti che hanno reso nervosi molti progressisti americani – “Questa legge non protegge in nulla la classe media”, ha detto Tom Harkin, per giustificare il voto contrario – ma che comunque hanno fatto pochissimo per placare i repubblicani più intransigenti. Le concessioni di Obama non sembrano dunque in grado di guadagnare alla Casa Bianca un futuro più tranquillo. La battaglia è solo rimandata. Tra due mesi ci sarà da considerare l’innalzamento del tetto del debito e i tagli alla spesa sociale e militare che l’intesa di questi giorni non ha affrontato. I repubblicani si stanno preparando e Obama ha dovuto chiarire di “non voler avere con il Congresso un altro confronto come quello appena trascorso”. Per il presidente la sfida è comunque duplice. All’opposizione dei repubblicani si unisce la minaccia sempre presente del debito pubblico. La nuova misura per evitare il fiscal cliff, ha fatto notare il Congressional Budget Office, costerà 4000 miliardi di dollari in deduzioni e tagli fiscali per i prossimi dieci anni. Il baratro del debito pubblico Usa continua ad allargarsi e rende più faticosa, incerta, pericolosa la navigazione di Obama. 

IMMIGRAZIONE

Obama ha più volte annunciato, durante la campagna elettorale 2012, che una “comprensiva riforma dell’immigrazione” sarebbe stata tra le priorità del suo secondo mandato. In un’intervista lo scorso ottobre al “Des Moines Register”, il presidente spiegò che l’assenza di tale riforma era stata il maggior fallimento dei suoi primi quattro anni e si dichiarò fiducioso che il Congresso, nel 2013, avrebbe potuto dare agli immigrati illegali “un percorso alla cittadinanza”. L’appello resta valido e costituirà senza dubbio un pilastro della politica della Casa Bianca nei prossimi mesi. Obama, il 6 novembre 2012, ha raccolto circa il 75% del voto ispanico. I latinos devono essere ricompensati per l’appoggio e, cosa ancora più importante, devono essere conquistati permanentemente come bacino di voto del partito democratico. Nulla di meglio, quindi, che far passare attraverso il Congresso una “comprensiva riforma dell’immigrazione”.

ARMI

Il 14 dicembre 2012, dopo il massacro alla Sandy Hook Elementary School, il presidente in lacrime dichiarò di voler usare tutto il potere a sua disposizione per prevenire future tragedie. L’annuncio significava sostanzialmente una cosa: preparare una nuova legge per il “controllo di vendita e uso delle armi”, al qual scopo il presidente demandò il suo vice, Joe Biden, e la senatrice democratica Dianne Feinstein. La task force messa insieme dalla Casa Bianca dovrà sottoporre una serie di “recommendations” entro la fine di gennaio. “Non appena riceverò i loro suggerimenti, avanzerò una concreta proposta di riforma – disse Obama -. Ne parlerò durante il mio discorso sullo Stato dell’Unione e lavorerò con il Congresso per arrivare a qualcosa di concreto”. Si sa già il probabile contenuto della riforma: un bando alle armi d’assalto, sul modello di quello votato con Bill Clinton nel 1994 e scaduto nel 2004; norme più rigide su vendita e uso di caricatori ad alta potenzialità. Anche qui, come nella questione di misure per contenere il debito pubblico, Obama dovrà però fare i conti con le probabili resistenze dei repubblicani e con l’opposizione della National Rifle Association, la lobby delle armi restata in silenzio dopo il massacro di 20 persone, tra cui molti bambini, alla scuola elementare del Connecticut, ma che probabilmente farà sentire la sua voce al momento del voto su una riforma di “gun control”.

LAVORO

Il presidente ha vinto la rielezione sulla base di un programma che promette un rafforzamento della classe media – e una forte ripresa occupazionale. Tra gli obiettivi identificati, 600 mila nuovi posti di lavoro nel settore del gas naturale entro il 2012 e un milione di posti nell’industria. La promessa potrebbe essere alla portata dell’amministrazione, visti i recenti sviluppi positivi nel settore manifatturiero e l’intenzione di dimezzare l’importazione di petrolio entro il 2020. Potrebbe essere più difficile mantenere altre promesse. Per esempio quella di far scendere di almeno la metà le tasse universitarie e far entrare nelle aule scolastiche americane 100 mila nuovi insegnanti di matematica e scienze. Mancare a questo impegno elettorale potrebbe risultare imbarazzante non per l’attuale presidente, che non si ripresenterà tra quattro anni, ma per il futuro candidato democratico alla Casa Bianca. Giovani e insegnanti sono stati infatti tra le categorie più fedeli e impegnate nell’assicurare al partito democratico la vittoria nel 2012.