In piena crisi, ciò che pare non avere flessioni è la costante necessità di costruzione di nuovi eroi. Uomini e donne capaci di incarnare, nel nostro immaginario, la figura ieratica che, anno dopo anno, aspettiamo con la stessa intensità con cui i bambini più incantati aspettano Babbo Natale.
I sacerdoti, nella liturgia mediatica, ci indicano la direzione: che sia Gino Strada o Roberto Saviano, Don Gallo o Don Ciotti, laici o preti riponiamo in loro la medesima speranza che, in altri contesti e periodi storici, si era soliti riporre nelle idee, nei concetti, nei ragionamenti. Sembra quasi che il solo fatto di esistere (gli uomini) sia di per se elemento sufficiente perché si avveri ciò in cui crediamo.
Si costruisce, nel tempo, così un vero e proprio portafoglio di immagini che sfiorano la sacralità. La sinistra è specialista in questo: oltre a quelli già citati potremmo aggiungere Dario Fo, Moni Ovadia, fino all’ultimo Antonio Ingroia che forse li riassume tutti per il solo fatto che fa coincidere il proprio credo con la politica tutta.
La peculiarità, apparente, di questi eroi consiste nella loro ubiquità tematica e nella perentorietà delle loro posizioni: che non ammettono dubbi o alternative, perché – alla pari dei dogmi confessionali – sono in sé verità assolute.
Anche quando sono assurdità come la sanità gratis per tutto il globo o la retorica degli ultimi della terra, o, peggio ancora, una idea assoluta di legalità che non nella responsabilità di ognuno di noi, ma nella magistratura, trovi il proprio baricentro.
Il disastro concreto di tale sacralità investe, al contrario, il nostro rimanere troppo mediocri, il peggiorare della sanità, il rimanere ultimi, un concetto di legalità utile per tutte le stagioni.
Sembra quasi che a fronte di idee sempre più deboli si costruisca la necessità di incardinarle in superuomini caricandoli di responsabilità immense e deresponsabilizzando noi stessi, quotidianamente, dall’essere più giusti, più attenti, più dubbiosi, più, in definitiva, popolo.