Mi dispiace parlare per due post di seguito di qualcuno della mia famiglia (Char e mio padre nel post precedente), ma devo essere fedele a quel che è accaduto. Mio figlio adolescente mi ha fatto ascoltare un disco di un gruppo inglese, si chiamano Alt-J. C’è una canzone che mi ha colpito, il suo titolo è Taro. Ascoltandola sentivo una nostalgia strana, priva di oggetto, come se avessi perso qualcosa di grande, ma non riuscivo a dire cosa esattamente. L’ho sentita e risentita.
Poi mio figlio mi ha fatto ascoltare un’intervista agli Alt-J nel cd annesso all’album, bellissimo, il cui titolo è An Awesome Wave. Parlavano di questa canzone in un inglese molto rapido e sono riuscita a capire che Taro era lo pseudonimo della fotogiornalista Gerta legata a Robert Capa, il fotografo che conoscevo soprattutto per la foto del miliziano ferito a morte e degli scatti immortali dello sbarco in Normandia. Sono andata su Internet e ho scoperto una storia che forse molti di voi sanno, ma che ignoravo.
Per Friedman l’unico modo per sopravvivere a questo dolore è continuare a fare il suo mestiere, mantenendo il nome di Robert Capa. Nel 1947 fonda con Henry Cartier Bresson l’agenzia fotografica Magnum e partecipa alle imprese più rischiose, con il segreto desiderio di raggiungere Taro. Succederà nel 1954 in Indocina, quando salterà su una mina. Aveva 44 anni ed è rimasto il primo e il più grande fotocronista di guerra che sia esistito.
Come un libro, questa canzone degli Alt-J ha sprigionato una storia e allora mi dico che forse quella nostalgia avvertita proveniva dalla maestria di questi giovani musicisti di raccontare una giovinezza spezzata, di dare voce a una passione talmente possente da essere rimasta impigliata nella trama invisibile del tempo. Tempo e miti che loro hanno saputo trasformare in musica.