Quando avevo 22 anni lavoravo con contratto di formazione lavoro in una piccola ditta di Castenaso dove nessuno mi formava e dove c’era poco da lavorare.
Giornate eterne e prive di senso, finestre con le sbarre e panorama industriale. Eravamo in 3-4 dipendenti, poi c’era un socio, un socio e un altro socio che lavorava anche per gli altri soci. Il mio posto di lavoro, dopo un anno e mezzo sarebbe stato ricoperto dal figlio del socio che lavorava e chi si è visto si è visto.

Capii molto presto che quando si lavora in un’azienda, non si è mai indispensabili.
Visto che mi rompevo non poco i maroni e che le prospettive di crescita erano le solite, andai a trovare il vicepreside dell’istituto scolastico dove mi ero diplomato, che con le sue raccomandazioni sistemava tutti i somari in grosse aziende bolognesi, soprattutto banche. In quegli anni orribili, le raccomandazioni erano all’ordine del giorno e avendo ventidue anni, non capendo un cazzo di niente e soprattutto di cosa volessi fare professionalmente, andai dal boss spiegandogli il mio triste caso di “precario” che nel giro di un anno sarebbe rimasto senza lavoro.

Il vicepreside si mise a piangere tipo Mangiafuoco con Pinocchio, poi telefonò a un potente direttore del personale dagli occhi di bragia.
Nel giro di poche settimane mi trovai a fare colloqui individuali e di gruppo nella sede di una importante banca locale.
Vestito come un coglione, mi presentai insieme ad altri giovani vestiti come coglioni e mi sottoposi a un rituale di coglionaggine che non mi apparteneva affatto, ma come ho detto prima, avevo 22 anni, difettavo di amor proprio e non capivo un cazzo come è giusto che sia a quell’età sperimentale.
Seguì visita medica e poi, niente.
Mai più sentito nessuno.
Il vicepreside si faceva di nebbia,  il direttore del personale pure, io insistevo, ma niente.
Fog.

“Si però se hai fatto la visita medica vuol dire che sei assunto dicevano i miei amici somari raccomandati dal vicepreside e bancari non precari già da più di un anno.
Niente.
Nada.
Pupo.
Adriano Pappalardo.
Non andai mai a lavorare in banca.
Ancora oggi non mi spiego il perché di quella raccomandazione non andata a salvo buon fine, ma dico “Meglio così”.
Credo che mi sarei adagiato, che lavorerei ancora lì senza ruoli di prestigio o molto più probabilmente, credo che mi sarei ammazzato.
Il rischio c’era.

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