Può sembrare incredibile, ma, ai piani alti del dibattito economico-politico, gli asili nido sono diventati terreno di scontro. Nella cosiddetta “agenda Monti”, presentata subito prima di Natale dall’omonimo premier uscente, sceso – pardon, salito – in campo anche per le elezioni politiche di febbraio, c’è tutto un capitolo dedicato alla famiglia, dove a un certo punto si legge: “L’Italia deve tornare ad avere fiducia nel futuro e a fare bambini. Va incoraggiata la più ampia creazione di asili nido, l’adozione di incentivi fiscali e contributivi a sostegno della natalità e per le famiglie numerose, va favorito l’accesso alla casa”.
Parole che non hanno impiegato molto a suscitare la reazione del duo composto dagli economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, che dalle colonne de Il Corriere della Sera del 27 dicembre scrivevano a Monti che la soluzione non è quella della creazione di più asili nido, bensì “come lo stesso programma (di Monti, ndr) indica in un altro punto, detassare il lavoro femminile e lasciare che le famiglie decidano come meglio credono la cura dei figli”. Una posizione, su cui non tutti concordano, che lo stesso Alesina aveva già sostenuto in un recente convegno all’Università Bocconi sull’uguaglianza di genere.
Secondo il professore della Bocconi, Franco Bruni, “in Italia, e l’ho sperimentato direttamente come nonno, un problema di asili nido esiste eccome. Alesina e Giavazzi dovrebbero essere meno ossessionati dall’incremento della spesa pubblica e considerare che più strutture di questo tipo potrebbero spingere l’occupazione, soprattutto femminile”. Sulla carenza di asili nido ha recentemente scherzato in tv la comica Alessandra Faiella: “In Italia devi prenotare il nido per tuo figlio prima ancora di concepirlo. Ti devi già portare avanti all’happy hour, se pensi di incontrare qualcuno”.
Il problema di incentivare il lavoro femminile è complesso e la questione degli asili nido rappresenta solo una delle tante sfaccettature. Marisa Montegiove, che nel 1997, nell’ambito di Manageritalia Milano, ha fondato il gruppo “Donne manager“, spiega che “le aziende spesso fanno fatica a capire che una propria dipendente che aspetta un bambino non equivale alla maledizione dei Maya ma è un evento che arricchisce la famiglia, la società e l’impresa stessa. In Italia – aggiunge Montegiove – un terzo delle donne abbandona il lavoro dopo il parto e circa la metà ha una maternità non completamente serena, con il risultato che le aziende perdono professionalità e competenze”. E’ anche per questo che dal febbraio del 2010 “Donne manager” ha avviato un programma, chiamato “Un fiocco in azienda”, che si propone l’obiettivo di “aiutare le aziende a gestire al meglio la maternità delle dipendenti facilitando la gestione della gravidanza e il rientro al lavoro”. “In realtà – spiega Montegiove – abbiamo scoperto l’acqua calda, perché con questo progetto, a costo zero per chi lo sfrutta, abbiamo messo nero su bianco alcuni punti che servono per raggiungere l’obiettivo piuttosto banali, ma per le aziende niente affatto scontati”. Tra questi, un percorso informativo e formativo che permetta alla futura mamma, se vuole, di restare in contatto con la vita aziendale anche durante l’assenza dal lavoro, e un colloquio di orientamento al rientro per il reinserimento professionale.
Non bisogna, poi, dimenticare, che la riforma del lavoro firmata dall’ex ministra Elsa Fornero, tra le altre cose, introduce in Italia il congedo di paternità obbligatorio. Per quanto tempo? Reggetevi forte: un giorno.