La diplomazia internazionale non si fa illusioni sulle possibilità che la regione possa trovare a breve un equilibrio più stabile. I risultati delle elezioni politiche in Israele, il 22 gennaio, potranno incidere sull’atteggiamento verso i palestinesi della democrazia israeliana e sul rapporto con gli Stati Uniti, che risente della carenza d’intesa personale tra il presidente Obama e il premier Netanyahu.
Ma l’incognita principale sulla stabilità e la sicurezza dell’intera regione è rappresentata dalla Siria, dove la sommossa per rovesciare il regime del presidente Bashar al Assad è definitivamente sfociata nel 2012 in una vera e propria guerra civile, con decine di migliaia di vittime. Un piano, condiviso da Mosca e Washington, prevede una transizione del potere progressiva in Siria, consentendo, cioè, al presidente al Assad di condurre a termine il proprio mandato, che scade nel 2014. Non è sicuro, però, che le forze in campo, dove, fra gli oppositori all’attuale regime, si mescolano elementi di estrazione diversa, democratici accanto a integralisti, nazionalisti e veri e propri terroristi, siano disposte ad attendere.
Le elezioni politiche israeliane non sono le uniche nella zona, quest’anno. Il 23 gennaio, ci saranno le politiche in Giordania: e il 23 giugno le presidenziali e le politiche in Tunisia, il paese che è stato culla delle Primavere arabe – eventuale ballottaggio, il 7 giugno – e dove la transizione appare meglio riuscita. E restano da sorvegliare le evoluzioni dei rapporti di forza e di influenza in Egitto e in Libia, così come i giochi di potere interni all’Iran. I negoziati tra Teheran e l’Occidente sui programmi nucleari iraniani, che potrebbero avere finalità militari, riprenderanno in inverno.
Il Fatto Quotidiano, 4 Gennaio 2013