Dovrebbe essere ufficializzata il 7 gennaio la nomina a segretario della Difesa. Il senatore, veterano del Vietnam, è osteggiato dai suoi compagni di partito per le sue posizioni non ortodosse: ha criticato l'intervento contro Saddam Hussein e "la lobby ebraica". Poi si è scusato per aver definito "aggressivamente gay" un diplomatico scelto da Clinton
Barack Obama ha scelto Chuck Hagel per guidare il Pentagono. La decisione, non ancora ufficiale, verrà annunciata dal presidente nel corso della giornata di lunedì, durante la sua prima apparizione pubblica dal ritorno dalle vacanze alle Hawaii. In un’intervista a NBC del 30 dicembre scorso, Obama aveva detto: “Ho servito al Senato con Chuck Hagel. Lo conosco. E’ un patriota. E’ un uomo che ha fatto un lavoro straordinario al Senato, un uomo che ha servito con valore questo Paese in Vietnam”. Dopo la nomina, Hagel dovrà essere confermato proprio dal Senato. E qui le cose, per lui, potrebbero mettersi male. I repubblicani hanno infatti già annunciato battaglia contro la nomina.
Lindsay Graham, repubblicano del South Carolina e membro della Commissione Forze Armate, ha per esempio spiegato che “Hagel ha avuto completamente torto sull’Iraq e alcune cose da lui dette sull’Iran appaiono molto pericolose”. Stesse riserve sono state espresse da Jim Inhofe, altro senatore repubblicano influente nelle questioni militari. Il paradosso è che Hagel, 66 anni, è un repubblicano e conservatore convinto. E’ stato lobbista a Washington per la “Firestone Tire and Rubber Company”. Ha partecipato all’organizzazione, a livello nazionale, della campagna elettorale di Ronald Reagan nel 1980. E’ entrato al Senato da repubblicano nel 1997 e ne è uscito nel 2009. A completare il suo, apparente, perfetto pedigree ci sono due Purple Hearts, la massima decorazione militare americana ottenuta per il servizio in Vietnam, e le doti di businessman intraprendente e di successo, dimostrate come fondatore della Vanguard Cellular.
A oscurare fama e doti di Hagel agli occhi di molti repubblicani e conservatori ci sono però due cose. Anzitutto, la sua opposizione alla guerra in Iraq. Nel 2002, Hagel votò a favore della risoluzione che consentiva l’uso della forza contro il regime di Saddam Hussein. Nel 2007, si unì a gran parte dei senatori democratici nel chiedere il ritiro delle truppe americane entro 120 giorni. Con il passare dei mesi, e il sorgere di sempre nuove difficoltà, Hagel si convinse infatti dell’impossibilità di vincere il conflitto in Iraq. Lo paragonò alla guerra persa in Vietnam. Ne criticò la gestione militare. Espose la corruzione del nuovo regime di Bagdad. In contrasto sempre più clamoroso con Dick Cheney e i neoconservatori, architetti delle guerre di George W. Bush, Hagel disse che “non è antipatriottico criticare il governo. E’ antipatriottico non criticarlo”.
L’altro punto di conflitto tra Hagel e il suo vecchio partito riguarda uno dei temi più caldi e sensibili della politica statunitense: Israele. In un’intervista del 2006, Hagel parlò esplicitamente di una “Jewish lobby” e disse: “La realtà politica è che la lobby ebraica intimidisce molta gente qua al Congresso… Io ho sempre protestato contro le cose più stupide che fanno, perché non credo sia nell’interesse di Israele. Semplicemente, non credo sia una cosa intelligente per Israele”. Più tardi Hagel rafforzò la posizione, affermando di “essere senatore degli Stati Uniti, e non senatore di Israele”.
Alla valanga di accuse che da allora gli sono piovute addosso – alcuni lo hanno anche accusato di “antisemitismo” e l’ex-sindaco di New York, Ed Koch, ha detto che “sarebbe una nomina terribile” – si sono aggiunte altre critiche, alimentate dalla posizione di Hagel a favore di negoziati con l’Iran e dalla sua affermazione secondo cui “il nostro legame con Israele è speciale e storico… Ma non deve andare a detrimento delle nostre relazioni con il mondo arabo e musulmano”.
Se dunque l’atteggiamento dei repubblicani, durante le audizioni di conferma al Senato, promette di essere particolarmente vivace e polemico, pare invece superato l’altro ostacolo che si frapponeva tra Hagel e il Pentagono. Nel 1998, Hagel definì James C. Hormel, scelto da Bill Clinton come ambasciatore in Lussemburgo, “apertamente e aggressivamente gay”. Due settimane fa, in odore di nomina, si è scusato: “I miei commenti di 14 anni fa furono insensibili. Essi non riflettono le mie idee e la totalità del mio impegno pubblico, e quindi mi scuso con l’ambasciatore Hormel e con chiunque nella comunità LGBT americana possa mettere in discussione il mio impegno a favore dei loro diritti civili. Sostengo in pieno il servizio degli omosessuali nell’esercito e mi impegno a favore delle famiglie LGBT”. Hormel ha accettato le scuse e il caso sembra chiuso.
Se la nomina di Hagel dovesse incontrare la netta e implacabile opposizione dei suoi ex-compagni di partito, è comunque già pronta una scelta di riserva. Si tratta di Michele Flournoy, già sottosegretaria alla Difesa, volto noto nei think-tank di Washington, che sarebbe la prima donna a guidare i militari americani. Tra poche ore, probabilmente in coincidenza con l’annuncio della designazione di Hagel, Obama farà anche il nome del nuovo direttore della Cia, al posto di David Petraeus. Secondo diverse fonti, favorito per il posto è John Brennan, attuale consulente della Casa Bianca per la sicurezza nazionale.