La revisione delle regole da parte del Comitato di vigilanza in direzione di un sostanziale ammorbidimento dei limiti previsti per i patrimoni degli istituti è nata sulla scorta del sostanziale fallimento del piano originario che, ancora prima dell'approvazione finale, aveva cominciato a far sentire i suoi effetti sui bilanci dei gruppi del credito europei. In Italia vola il grande malato Mps
E alla fine a Milano arrivò il gran giorno delle banche. La decisione del Comitato di Basilea di alleggerire i requisiti patrimoniali da qui al 2015, allungando sensibilmente i tempi per l’adeguamento, fa volare gli istituti di credito protagonisti, oggi, di una giornata trionfale in Borsa. Piazza Affari chiude infatti in lieve rosso (-0,38%) ma a segnare la controtendenza sono proprio le principali banche italiane: Intesa Sanpaolo chiude le contrattazioni con un +1,59%, Unicredit realizza un +1,8%, molto bene Banco Popolare (+3,77%) e Bper (+2,15%) mentre a fare il botto è il grande malato storico Monte dei Paschi di Siena che alla chiusura registra un clamoroso +6,89% dopo una partenza a razzo ancora più impressionante (dopo i primi scambi della mattinata, il titolo di Rocca Salimbeni faceva segnare un incredibile +16%).
La revisione delle regole da parte del Comitato nasce sulla scorta del sostanziale fallimento del piano originario che, ancora prima dell’approvazione finale, aveva cominciato a far sentire i suoi effetti sui bilanci delle banche europee, peggiorando la già evidente stretta creditizia: a fine novembre 2012 la somma dei prestiti a famiglie e imprese in Europa si era contratta in media di un ulteriore 1% su base annuale, mentre in Italia il credito è arretrato dell’1,9 per cento.
E così domenica 6 gennaio il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria – costituito dai governatori delle banche centrali dei Paesi più industrializzati – ha fatto marcia indietro su una parte dell’accordo “Basilea III“, quella relativa ai requisiti di liquidità previsti per migliorare la capacità del settore bancario di “assorbire shock derivanti da tensioni economiche e finanziarie”, una serie di provvedimenti approvati dal Comitato in conseguenza della crisi finanziaria del 2007-2008, sui quali l’Unione Europea sta cercando di giungere a un accordo su un testo definitivo entro gennaio.
Ora cambia tutto o quasi. L’ipotesi iniziale imponeva alle banche di portare il cosiddetto Liquidity cover ratio (Lcr) a quota 100%. In pratica l’obbligo di accumulare asset “pregiati” (ovvero facilmente liquidabili) per un controvalore pari alla liquidità necessaria per sopperire a uno scenario d’emergenza caratterizzato dal congelamento del mercato interbancario per un mese. In estrema sintesi una quantità di riserve sufficiente a sopravvivere in caso di blocco dei prestiti da parte delle altre banche (un contesto tipico da shock creditizio).
Ebbene, il ripensamento dei regolatori di Basilea prevede ora due sostanziali modifiche: primo, la quota di Lcr per il 2015 scende al 60% mentre l’obiettivo del 100% viene spostato al 2019; secondo, nella categoria degli assets pregiati potranno rientrare ora anche titoli finanziari di dubbia qualità di cui gli istituti europei sono tuttora pieni come mortgage backed securities e corporate bond (obbligazioni di imprese, ma non di Stati) fino a un rating minimo di BBB-, l’ultimo notch dell’investment grade ovvero l’anticamera dei prodotti spazzatura. Insomma, due cambiamenti a dir poco sostanziali.
“Si tratta di una revisione molto più favorevole alle banche di quanto i mercati si stessero aspettando. In particolare, il cambiamento nella definizione degli asset è segno di un approccio molto più accomodante”, ha dichiarato Daniel Davies, analista bancario di Exane BNP al Financial Times. L’allungamento dei tempi necessari per l’adeguamento dei ratio patrimoniali rappresenta un’ottima notizia per gli istituti di credito a cominciare proprio dal Monte dei Paschi, impegnato in una complessa operazione di taglio dei costi e accantonamento delle risorse con l’obiettivo di adeguarsi alle disposizioni di Basilea ma anche di restituire il maxi prestito ottenuto dallo Stato attraverso i Monti (e prima Tremonti) bond per un conto totale che supera i 4 miliardi di euro. Un salasso pesante che si tradurrà in un doloroso piano industriale destinato, nelle intenzioni, a risollevare le sorti dell’istituto senese piombato in una spirale di dissesto dal lontano 2007 quando la banca realizzò la costosissima acquisizione di Antonveneta.
In secondo luogo, la nuova benedizione delle risorse di qualità medio-bassa semplifica ulteriormente il compito degli istituti, che potranno inserire nei cuscinetti delle risorse di emergenza anche titoli vicini al livello “junk” (spazzatura), come quelli di molte banche italiane: Unicredit e Intesa Sanpaolo (BBB+), Ubi (BBB) e Banco Popolare (BBB-). Montepaschi (BB+) è invece già “spazzatura” e i suoi titoli obbligazionari non potranno essere inseriti nel conteggio dell’Lcr. I titoli obbligazionari delle imprese con rating da A+ a BBB- potranno essere inclusi nei “cuscinetti” di emergenza dell’LCR solo per un massimo del 15% del valore totale dell’LCR e – cosa più importante – saranno soggetti a un “haircut” del 50%: nel calcolo finale si conteggerà solo la metà del loro valore nominale. Un limite dovuto, che rende il regalo della Befana alle banche un po’ meno dolce, pur continuando sostanzialmente l’opera di “cosmesi” dei regolatori europei che, dal 2008 in poi, sono riusciti a tenere in vita un nutrito gruppo di istituti bancari da tempo clinicamente morti.