Tour disorganizzato alla scoperta della bellezza e dei sapori della città francese tra Beaujolais, fiumi, burattini e “passaggi segreti”
Milano, stazione dei pullman di Lampugnano, ore 21.45. L’autobus mette in moto, si parte: ora prevista per l’arrivo a Lione 5 del mattino. Mezzo insolito ma divertente, pieno di francesi che tornano a casa e di italiani già troppo rumorosi. Guardo sul sedile a fianco la mia compagna di viaggio e decido di fare il punto: cosa so per ora di questa città? Terzo centro d’Oltralpe per dimensioni dopo Parigi e Marsiglia, con una squadra di calcio che dominava in patria prima dell’arrivo degli sceicchi e a cui Francesco De Gregori ha dedicato una bellissima canzone, L’angelo di Lyon, cover di un brano di Tom Russell. Ok, non tanto, ma se conoscessi già tutto mica partirei. E poi ho tutto il viaggio notturno per leggermi la guida comprata tre mesi fa. Per entrare in atmosfera nello zaino ho anche un giallo di Leo Malet, il primo della serie di Nestor Burma, “120, Rue de la Gare”, che prende in qualche modo il via dalla stazione di Perrache, proprio dove arrivo sul far dell’alba.
Giorno uno. Orientarsi non è difficile, come in tutte le località attraversate da un corso d’acqua. E qui ce ne sono addirittura due: il Rodano e la Saona. Lasciamo le borse in un albergo di rue Herriot in consegna a un receptionist abbastanza stupito di vederci apparire a quell’ora. Abbandoniamo l’hotel e dopo poche centinaia di metri arriviamo nella centralissima Place Bellecour, a quell’ora addormentata come il resto della città. Uno spazio enorme, con all’estremità una gigantesca ruota panoramica e al centro la statua equestre di Luigi XIV. E si incontra subito anche una delle glorie cittadine: Antoine de Saint-Exupery, scrittore ed aviatore, ritratto in un busto assieme al più celebre dei suoi personaggi, il Piccolo Principe. Lasciamo la Presqu’ile (la penisola) compresa tra i due fiumi e ci addentriamo nella Vieux Lyon, divisa nelle tre zone di Saint Jean, Saint Paul, Saint Georges, articolate attorno alle omonime chiese. Vicoli stretti e tortuosi fiancheggiati da edifici di ogni epoca e popolati da negozietti e bouchon, le tipiche trattorie locali specializzate in cucina lionese. Ovunque appare la figura di Guignol, burattino simbolo della città protagonista di improbabili vicende che risolve a suon di randellate. Un modo suggestivo per addentrarsi nei meandri di quest’area è sfruttare i traboule, delle sorte di corridoi nascosti che attraversano i palazzi collegando velocemente una strada all’altra. Guardiamo con malinconia il museo delle miniature cinematografiche (abbiamo meno due giorni, niente mostre) e decidiamo di pranzare in un modo che ci sembra molto francese, dirigendoci verso un banchetto in rue St Jean per gustare delle crepes preparate sul momento: una sucre e una jambon et fromage, per non farci mancare niente.
Dall’alto in basso. La prossima tappa è la funicolare che porta sulla collina di Fourviere, che domina Lione. Qui è d’obbligo una visita alla Basilica Notre Dame e una passeggiata sul belvedere. Appartiene invece più al campo delle curiosità che a quello delle reali attrazioni, la riproduzione della Tour Eiffel che si trova lì vicino, francamente pacchiana. Ritorniamo alla Città Vecchia attraverso uno splendido giardino degradante nel quale è immersa una scalinata, ci lasciamo la Saona alle spalle e raggiungiamo in metropolitana la zona di Croix Rousse, quartiere storico dei canut, i tessitori della seta, settore in cui Lione eccelleva nei secoli passati. Qui troviamo boulevard più ampi con colorati mercati e numerose testimonianze delle rivolte operaie del XIX secolo contro le durissime condizioni di lavoro. Splendido in particolare l’enorme murales, che copre l’intera facciata di un edificio, dedicato proprio ai tessitori: in città si trovano parecchie di queste opere che adornano le case in molti quartieri. Ora di cena, stavolta ci concediamo qualcosa di serio: bouchon Le Laurencin nella Città Vecchia. Ci sono numerosi menù molto convenienti e cerchiamo di sperimentare qualcosa di tipico, lottando col nostro pessimo francese: ottime le entrée, con la salade lyonnaise (insalata, crostini, uovo più o meno in camicia e pancetta abbrustolita) e una zuppa di cipolla, crauti e formaggio, meno pericolosa di quanto gli ingredienti farebbero supporre. Da provare la quenelle, sorta di grande gnocco spesso servito con una salsa di crostacei, mentre solo per gli audaci è l’andouillette, salsiccia di trippa che ci è stata proposta immersa in un intingolo a base di mostarda capace di risvegliare i morti. Nei bicchieri ovviamente il rosso intenso del Beaujolais, prodotto nei vigneti attorno alla città.
Giorno due. Il tempo prima della ripartenza è poco, perciò sveglia presto, colazione in una boulangerie con café au lait e pain au chocolat e si punta decisi verso la Rive Gauche, il lungo Rodano. Zona meno suggestiva della parte vecchia, con sprazzi di quartieri ipermoderni, il museo cinematografico intitolato ai fratelli Lumiere, altri componenti di prestigio del Pantheon locale, e poco lontano un altro colossale e magnifico murales dedicato alla Settima Arte. Ma soprattutto bisogna approfittare di questo sole d’inverno per una passeggiata lungo il sentiero che si snoda suggestivamente sull’alzaia del fiume, popolato allegramente da turisti e indigeni che fanno lo struscio a pochi metri dalle chiatte ormeggiate. Riattraversiamo il ponte e ci dirigiamo a place des Terreaux, dominata da un enorme fontana e poco distante dalla maestosa Opera e dal museo delle Belle Arti. Da lì tagliamo per Rue Merciere, antica strada degli affari, e pranziamo da Le Cyrano, bouchon (il fatto che si chiamino più o meno tutti così comincia a insospettirmi) rustico al punto giusto. Ci teniamo più leggeri, ma non possiamo esimerci dal provare il cervelle de canut, formaggio insaporito con erba cipollina dal nome poco simpatico ma molto delicato e usato anche come dessert, e il saucisson, salsiccia bella compatta innaffiata da una notevole salsa al vino rosso. Facciamo in tempo a passare da una pasticceria per portarci a casa un sacchetto di pralines lyonnaises, mandorle pralinate dal colore rosso vivace, e ci dirigiamo verso l’aeroporto. Ecco, qui fate attenzione: il modernissmo Rhone Express per arrivare fino allo scalo aeroportuale costa qualcosa come 15 euro per un viaggio che, a seconda delle fermate, può durare anche meno di un quarto d’ora. Si consiglia vivamente di trovare un mezzo alternativo, perché il prezzo è quasi lo stesso di un pranzo.