L’Alitalia è in crisi. Già nel 2008 l’Alitalia era stata vicina al fallimento. La compagnia di bandiera non era redditizia per una serie di ragioni: costi troppo elevati e insufficiente capacità di attirare nuovi passeggeri. L’Alitalia, società pubblica, era sopravvissuta fin tanto che la concorrenza sui mercati aerei era stata limitata e godeva di rendite su alcune rotte particolarmente lucrose (come la tratta Roma-Milano). L’apertura dei mercati e la maggiore concorrenza aveva reso impossibile la vita alla nostra compagnia di bandiera. I costi di gestione della flotta erano molto alti anche per l’elevato numero di modelli diversi di aereo utilizzati; i costi del personale erano elevati; la presenza sui mercati insufficiente. Ulteriori danni erano poi derivati dalla lunga lotta su quale dovesse essere l’hub: Fiumicino o Malpensa.
A inizio del 2008 si fece avanti AirFrance che era disposta ad acquistare Alitalia versando un miliardo di euro, accollandosi 1,4 miliardi di euro di debiti finanziari (dell’Alitalia) e conferendo proprie azioni (con cambio, che alle quotazioni di oggi sarebbe stato redditizio).
In aprile del 2008 la proposta di AirFrance fu respinta da un fronte composito, costituito dal governo Berlusconi, dai piloti e dalla Cgil. Epifani, allora segretario confederale della Cgil, era sceso in campo contro la “svendita” di Alitalia ai francesi. Berlusconi parlò di difesa dell’italianità. Si sosteneva che il trasporto aereo fosse strategico per un paese a vocazione turistica come l’Italia e che sarebbe stato inaudito cedere agli stranieri la compagnia di bandiera.
Fu così che Banca Intesa, guidata da Corrado Passera, decise di diventare regista di un’operazione patriottica per trovare una cordata italiana disponibile ad acquisire Alitalia.
Nell’agosto del 2008 fu così creata la Cai, Compagnia Aerea Italiana, della quale erano soci, tra gli altri, Riva, Intesa San Paolo, Benetton, Colaninno, Ligresti, Tronchetti Provera, Angelucci, Marcegaglia, Caltagirone.
I debiti finanziari, che i francesi erano pronti ad accollarsi, vennero invece attribuiti ad una bad company la cui liquidazione affidata ad Augusto Fantozzi non è ancora finita e che secondo alcune stime potrebbe costare ai contribuenti miliardi di euro.
I soci Cai si impegnarono a pagare 1 miliardo di euro ma solo 200 milioni vennero versati in denaro.
Ci fu un taglio di 4.000 dipendenti della ex-Alitalia, nonostante la Cgil avesse posto il veto contro AirFrance proprio sulla questione della necessità di salvaguardare i posti di lavoro. Anche in questo caso, il costo dei licenziamenti fu scaricato sui contribuenti. Si introdusse un “regime speciale” con ben sette anni di ammortizzatori sociali tra mobilità e cassa integrazione per un costo che è vicino ai 700 milioni di euro.
Nel 2008 tra l’altro, con il prolungarsi dei tempi di identificazione di una soluzione per Alitalia, il governo italiano aveva dovuto concedere alla compagnia aerea un prestito ponte di 300 milioni di euro, soldi che di fatto vennero bruciati in un tempo brevissimo. L’Unione europea ha chiesto che questi soldi vengano restituiti allo Stato (per evitare che si configurino come un aiuto di Stato in violazione alla concorrenza) ma è difficile immaginare che dalla bad company possano venir fuori 300 milioni per cancellare il prestito-ponte.
Il costo stimato a carico dello Stato (cioè dei contribuenti) dell’operazione patriottica di salvataggio dell’Alitalia è pari al momento a 3,2 miliardi di euro. Vanno aggiunti però i 4,4 miliardi di euro versati dallo Stato per ricapitalizzare l’Alitalia tra il 1998 e il 2008.
La nascita della Alitalia-Cai comportò tra l’altro l’incorporazione della compagnia AirOne con conseguente creazione di un monopolio sulla tratta Milano-Roma.
Ora l’Alitalia è di nuovo in crisi profonda. La Cai ha fallito e si parla di vendere ad AirFrance. Un aspetto interessante è dato dal fatto che i soci privati proprietari dell’Alitalia potrebbe ricavare un guadagno in conto capitale dalla vendita ai francesi del loro pacchetto azionario. E’ lo Stato invece che ha subito un grave danno.
La storia è interessante e forse su questo tipo di questioni sarebbe utile capire come la pensano i partiti in gara per le elezioni.
Che giudizio diamo della gestione pubblica delle aziende? E’ sensato invocare di nuovo le partecipazioni statali se si pensa al buco nero lasciato da Alitalia dopo una lunghissima gestione pubblica?
Ma certo le privatizzazioni devono seguire logiche di mercato e non logiche politiche. L’interesse principale deve essere quello di massimizzare l’introito per lo Stato che vende, e questo non è stato fatto nella vicenda in questione.
La teoria delle imprese strategiche nasconde quasi sempre interessi privati. La Svizzera ad esempio ha da tempo una compagnia di bandiera che in realtà è controllata dalla Lufthansa. Non vi era nessuna ragione economica per non vendere nel 2008 Alitalia ai francesi.
Nella cordata Cai del resto non era presente nessun socio che avesse la pur minima competenza in materia di gestione di una compagnia area.
L’Italia è tra i pochi paesi al mondo nei quali la destra è priva di una cultura di mercato. Ma anche il sindacato è spesso forza di conservazione e finisce per favorire operazioni molto dubbie dal punto di vista della logica economica e dei costi sociali.
Vi è in Italia troppa commistione tra politica ed economia e questo è uno dei nodi da sciogliere. La politica dovrebbe definire le regole del gioco e mantenere una certa imparzialità; dovrebbe tutelare gli interessi della collettività. A destra ma anche a sinistra invece è molto radicata la cultura dirigista di chi pensa che lo Stato può orientare, programmare, plasmare il sistema economico e sociale. In questi venti anni governi di centrodestra e governi di centrosinistra hanno ambedue interferito con il mercato generando risultati che è difficile definire “buoni”. Si pensi alle privatizzazioni che hanno creato monopoli privati (Autostrade, per citarne una) o alle interferenze nella scalata a Telecom Italia ai primi anni duemila, o ai veti all’ingresso dei francesi nel settore elettrico e così via.