“Tu sei uscita con tanti uomini. Finché lo fa un uomo di uscire con tante donne, questo è sempre bene. Quando lo fa una donna, si chiama in un altro modo…” diceva Karina, la fidanzata dell’ambito tronista Sasà, alla presunta amante di quest’ultimo durante un confronto televisivo mentre il conteso se la rideva in uno studio attiguo ma ripreso dalla telecamera e visibile agli spettatori.
La scena avveniva un paio di anni fa durante la trasmissione cult “Uomini e Donne” che tutte, veramente tutte, le ragazze e molti ragazzi hanno guardato al pomeriggio per anni, in tv o sul pc.
La televisione italiana, privata e pubblica, è stata responsabile, negli ultimi 20 anni, della più grande occasione educativa mancata di cui si abbia memoria. Migliaia di trasmissioni televisive basate sul nulla, centinaia di ore perdute in cui gli spettatori, in particolare milioni di bambine bambini ragazzi ragazze, si perdevano in trasmissioni spacciate come intrattenimento, che nascondevano invece un vuoto di contenuto siderale e proponevano la trasmissione di un sistema valoriale basato sulla proposizione di stereotipi camuffati. Come nel caso dell’esempio qui sopra, dove la dichiarazione della ragazza parrebbe emergere da un dialogo degli anni ’50 tra due ragazze che immaginiamo in gonna pudicamente lunga e sguardo timidamente rivolto verso il basso. Mentre Karina e la rivale si presentano in minigonna e stiletto confondendo chi è davanti allo schermo: la presenza, il contenitore diremmo, pare “moderno” ma il contenuto, le dichiarazioni, sono quelle che speravamo di avere rimosso per sempre.
E dunque non ci stupiamo più, forse nemmeno ci accorgiamo, del clima culturale retrogrado e reazionario in cui siamo immersi.
Due giorni fa una quattordicenne si è gettata dalla finestra senza apparenti motivi validi a giustificare un atto così tremendo: ci dicono fosse bella simpatica e con molti amici. Alcuni azzardano fosse vittima di bullismo, altri che i problemi fossero da ricercare in famiglia. Sulle motivazioni si sta indagando quindi sarebbe prematuro analizzare una situazione ad oggi poco chiara.
Ma come è stato raccontato dagli amici il caso della ragazzina?
“Carolina – racconta un amico – era una ragazza semplice, ma le piaceva mettersi al centro dell’attenzione». Da qualche mese, si era lasciata con il fidanzato: «Da quel momento lui e i suoi coetanei, tre o quattro giovani, hanno cominciato a diffondere brutte voci su di lei alimentate probabilmente solo da gelosia o invidia.” Si legge ad esempio su La Stampa e altri quotidiani riportano dichiarazioni simili da parte degli amici.
“Hanno cominciato a diffondere brutte voci” e quali mai possono essere le brutte voci su una quattordicenne? Frequentando molto le scuole durante la presentazione dei progetti di educazione ai media e guardando molta televisione per poterla analizzare ipotizzo che “le brutte voci” si possano talvolta spiegare con baci e altre intimità scambiati non per forza con il proprio fidanzatino ufficiale. Le “brutte voci” talvolta scaturiscono da qualche foto di intimità messa poi senza rispetto online. Tutte manifestazioni che non dovrebbero essere associate al senso di colpa.
Continua l’articolo “Tre settimane fa, una festa a casa di un amico avrebbe riacceso le malelingue. «Quella sera si è lasciata un po’ andare, cose che facciamo tutti, nulla di cui vergognarsi davvero – dice un altro amico -. E’ stato comunque un errore, e lo ha ammesso. Da quel momento non ha più avuto la forza di superare i pregiudizi»
“Attenta alla malelingue” mi diceva mia nonna che era nata nel 1910. Malelingue è un termine desueto che è stato recentemente resuscitato. “Quella sera si è lasciata un po’ andare, cose che facciamo tutti, nulla di cui vergognarsi davvero” cosa mai sarà accaduto? Qualche bacio davanti agli amici immaginiamo. “Nulla di cui vergognarsi” ci rassicura l’amico per difenderla. Vergogna è un termine desueto. “E’ stato comunque un errore, lo ha ammesso”, cosa è stato un errore? I baci? Gli abbracci? L’essersi lasciata andare?
Care ragazze che leggete, io come rappresentante della generazione responsabile di questa fetida società vi chiedo perdono.
Perdono per avervi confuso le idee permettendo che da un lato si facesse strada una non cultura televisiva che pareva, ripeto pareva, liberare i corpi delle donne e vi invitava attraverso mille richiami a imitarne i modelli svuotati di ogni senso. E contemporaneamente permettendo che vi si ingabbiasse in stereotipi che pensavamo erroneamente morti e sepolti, stereotipi che associavano al corpo liberato l’idea di peccato, di vergogna, di colpa.
Vi chiedo perdono perché il contesto in cui crescete è più nefasto e subdolo di quello che ha dovuto combattere la mia di generazione, lì il nemico era chiaro chi fosse: c’era una società bigotta che ci ingabbiava e noi ce ne siamo liberate, o almeno così abbiamo creduto.
Qui e oggi i media impongono un modello che poi la società in cui viviamo ricusa ferocemente e le giovani donne crescono in mezzo a questo sistema bipolare in cui è impossibile percepire chi si è, cosa significhi il corpo, cosa si desideri.
E dunque si resuscitano parole come malelingue, colpa e vergogna per definire un comportamento che con tutta probabilità è solo libero, consapevolmente o inconsapevolmente libero. Noi non sappiamo se la piccola Caro si sia uccisa per le critiche dei suoi compagni.
Sappiamo però per certo che nel 2013 in tutta Italia, anche a Milano, anche in centro a Roma le ragazze nelle scuole ci dicono che sì, ancora oggi sì, se “lui ha tante ragazze è un figo, ma se ho io due ragazzi sono una troia”.
Ecco di questo contesto miserabile dobbiamo noi adulti vergognarci. Di esserci disinteressati a cosa trasmetteva la televisione e cosa non insegnava più la scuola. Nessuna educazione sessuale, nessuna educazione alla relazione nelle scuole italiane, il sesso imparato su internet e scambiato per erotismo. Ciò di cui siamo responsabili è non avere creato un contesto culturale affettuoso dove fosse possibile esprimere i corpi in modo libero e realmente espressivo -di questo le ragazze hanno terribilmente bisogno- senza per questo sentirsi in alcun modo giudicate. E tutto questo deve essere considerata politica.