Bisogna essere leggeri come un uccello, e non come una piuma. (Paul Valery)
Leggendo molte interviste a grandi fotografi, è ricorrente la domanda su quali siano le doti indispensabili per ben fotografare. C’è chi risponde lo sguardo, chi la prontezza, e poi la concentrazione, l’occhio, la visionarietà, la passione, l’empatia, la resistenza, fino a Josef Koudelka che risponde “Un buon paio di scarpe”.
Tutte cose vere e condivisibili.
Ma non mi capita mai di trovare, come risposta, la parola leggerezza. Eppure il dono della leggerezza – perché di dono si tratta – aiuterebbe molto il fotografo.
Anzitutto una leggerezza mentale: le rogne quotidiane, il mutuo, il direttore, due telefoni cellulari, la spesa all’ipermercato e altre simili amenità rappresentano la negazione “a priori” di quella condizione esistenziale propizia all’atto fotografico come lucida liberazione di energia creativa, come contagio d’emozioni.
Naturalmente stiamo parlando di chi, come fotografo e prima ancora come persona, non si prende mai troppo sul serio. Se invece riteniamo di poter “spiegare la vita” agli altri con le nostre foto, forse dobbiamo fare un veloce e corroborante bagno d’umiltà. Perché “la fotografia – affermava Brassaï – deve suggerire, non insistere o spiegare”.
Lunga vita, dunque, ai fotografi flâneurs che sorvolavano la vita leggeri – appunto – come uccelli.
Come per gli uccelli, la leggerezza deve però avere una direzione (una “visione”, nel nostro caso), contrariamente alla piuma distratta.
E visto che ci siamo, diciamo che la leggerezza di testa, di sguardo e di approccio ha bisogno, sul piano pratico, di una corrispondente leggerezza fisica.
Quanti fotografi si trascinano faticosamente sotto il peso di mirabolanti attrezzature con obbiettivi plurimi, qualche corpo macchina, un paio di flash, almeno un computer e accessori vari perché… non si sa mai.
E’ ovvio che il professionista impegnato in un servizio fotografico commissionato deve mettersi al riparo da qualsiasi imprevisto, ma se invece stiamo andando con piacere e per piacere ad incontrare – forse – un momento di magia da comporre in un rettangolo planando leggeri, allora anche il nostro armamentario dovrà assottigliarsi. Solo così il “buon paio di scarpe” suggerito da Koudelka (che di leggerezza se ne intende…) prende senso.
Non è un caso se la street photography nasce con la Leica, macchina fotografica che per prima sollevò i fotografi dal fardello delle precedenti attrezzature lente e pesanti.
Sia chiaro: questo “inno alla leggerezza in fotografia” non dimentica e non trascura che la fotografia è anche impegno sociale, impegno civile, testimonianza, racconto di sé, traccia concettuale, ricerca e molto altro; come la vita, è mille cose e tutte le contiene. Forse non fornisce risposte, ma la fotografia pone domande, assumendo un ruolo molto importante nell’avanzamento della consapevolezza comune. E non sempre c’è da ridere, anzi…
Ogni tanto, però, anche il fotografo più impegnato ha bisogno di “alleggerire”. Alleggerire il suo carico emotivo, talvolta vicino all’esplosione. Potrebbe – dirà qualcuno – andare a pesca o in bicicletta. E invece no: molti fotografi sono così tenacemente presi dalla loro passione che, quando finiscono di fotografare per lavoro, l’unico passatempo concepibile è… fotografare ancora.
Ma almeno a questo punto, facciamolo nell’ora della leggerezza.