Accanto al sito Agenda-Monti.it – ora invaso dai due mastodontici loghi «con Monti» per la Camera e il Senato – negli ultimi giorni del 2012 è nata anche la piattaforma partecipativa Peragendamonti.it. Stefano Ceci, promotore dell’iniziativa, comunicava il 1 gennaio alcuni numeri: nelle 48 ore a cavallo del capodanno, oltre 12.000 visite con 63.000 pagine visualizzate, 1000 cittadini attivi sulla piattaforma, 200 proposte sui temi in programma, 295 commenti.

Evidente la curiosità che la cosa poteva destare all’inizio: Monti come Grillo? Monti prima e meglio di Grillo? Tuttavia a guardarla ora non si vede un gran fervore: i gruppi con 1 o 2 partecipanti sembrano la stragrande maggioranza, ma è pur vero che i gruppi sono molti, e chissà. Certo, le immagini in home – l’omino e la donnina disegnati senza bocca e con le mani dietro la schiena – non aiutano la partecipazione, perché, pur volendo simboleggiare lo stato del/la cittadino/a prima della sua partecipazione all’Agenda Monti, in un ambiente già vuoto o scarsamente popolato sembrano in realtà rappresentare il mutismo e l’inazione che vi regnano.

Stufo di stare a guardare donna

Stufo di stare a guardare uomo

Va detto però che l’idea di una comunicazione online «partecipata» e «dal basso» contrasta molto con la comunicazione elitaria, professorale e scarsamente empatica che il senatore Monti ha dimostrato per oltre un anno come capo del Governo. Può riuscire, a colpi di faccine su Twitter – come ha fatto sabato scorso, in modo peraltro discutibile e di fatto discusso – a dare di sé un’immagine meno distaccata? Più vicina ai bisogni comuni della cosiddetta “gente comune”?

Io ho molti e seri dubbi. La partecipazione viva ed effettiva in rete non si crea dal niente in pochi ore e giorni, con la complicità di qualche apparizione televisiva, ma si costruisce giorno dopo giorno, in molti mesi e anni di immersione piena, continua e – soprattutto – coerente anche con quanto si fa fuori dalla rete, non tanto e non solo in televisione, ma sul territorio.

L’impresa mi pare piuttosto il tentativo di dare una patina di e-democracy e innovazione tecnologica alla campagna elettorale di Mario Monti. Qualcosa che chiamerei “e-democracy washing”, perché ricorda il green washing che fanno alcuni marchi quando si rifanno il look gridando ai quattro venti che rispettano l’ambiente. Se poi rispettano davvero l’ambiente anche con azioni reali, la comunicazione corrisponde alla sostanza e il green washing è efficace. Ma come non bastano una campagna green e pochi mesi di buone azioni per costruirsi un’immagine ambientalista credibile, così non basta una piattaforma di partecipazione online per darsi un’immagine tecnologica, innovativa, e-democratica credibile.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Donne e lavoro, Newsweek: “L’Italia? Paese del Terzo mondo”

next
Articolo Successivo

Siae, il golpe dei ricchi

next