Passa qualche settimana e richiamo il Recup. Stavolta, per mettere le mani avanti, lo faccio con più anticipo: è l’inizio di ottobre. “Buongiorno, devo prenotare l’ecografia ostetrica della tredicesima settimana, per cui parliamo dei primi di novembre”. “… Mmmm… vediamo… Signora, l’unico posto libero per quella settimana è all’ospedale di Civitavecchia”. Faccio un calcolo veloce: Roma-Civitavecchia sono circa 70 km, un’ora di macchina ad andare e un’ora a tornare (considerando traffico zero), giornata di lavoro persa, pedaggi autostradali e, soprattutto, benzina. “Mi scusi, signorina, ma mi costa quasi più il viaggio di un’ecografia effettuata a pagamento…”. E quindi rimetto mano al portafogli. Altri 103 euro. A fine ottobre la ginecologa mi fa notare che, avendo io superato – ahimè – la veneranda età dei 35 anni, devo sottopormi all’amniocentesi, il prelievo del liquido amniotico che consente di verificare se il feto è affetto da patologie genetiche. Un esame che il Servizio sanitario nazionale ha reso completamente gratuito proprio per le over 35. L’amniocentesi (definita “precoce”) si deve effettuare tra la sedicesima e la diciottesima settimana di gravidanza, quindi – per quanto mi riguarda – tra fine novembre e inizio dicembre. Mi riattacco al telefono (ogni volta bisogna armarsi di sana pazienza). “Buongiorno, devo prenotare l’amniocentesi”. “Un attimo, controllo gli ospedali e i centri che la eseguono…Il primo appuntamento libero è per gennaio”. “Gennaio? Ma come? Un mese dopo il tempo massimo? Quindi significa che non la posso fare…”. “Signora, faccia così: provi lei a chiamare ogni singolo centro, magari un posto glielo trovano. Doveva pensarci prima”. Comprendo che, secondo la sanità targata Polverini, una donna deve prenotare ecografie e accertamenti prima ancora di rimanere incinta. Naturalmente il tentativo effettuato presso ogni singolo centro – stavolta anche a Civitavecchia – risulta vano.
Tentenno, quasi quasi faccio come facevano le antiche, poi cedo: ho bisogno di sapere se mio figlio è sano. Prendo informazioni sui laboratori privati di Roma. Prezzo minimo: 590 euro (per l’amniocentesi tradizionale). Prezzo massimo: 1.350 euro (per quella molecolare). Dopo essermi ripresa dallo choc, chiudo a 750. La signora al telefono mi dice che, avendo io il fattore del sangue negativo, dovrò portare con me una fiala di immunoglobulina per non rischiare di immunizzarmi dal bambino. “La deve prenotare in farmacia due settimane prima”. Quando arriva il tempo, eseguo diligentemente. In farmacia mi dicono che è necessaria la ricetta rossa del medico di base, per cui vado allo studio e richiedo alla segretaria la prescrizione. “Torni domani”. L’indomani, però, il medico mi blocca: “Serve il piano terapeutico”. Ma se è un’una tantum? “Serve il piano terapeutico”. Che rilascia soltanto un ospedale. E avendo io una ginecologa privata? Facile: basta tornare in farmacia con una qualunque ricetta bianca e sborsare quasi 70 euro: la fiala sarà tua. Se faccio il conto di quanto mi è costata finora questa gravidanza, capisco perché in Italia il tasso di crescita è sotto zero.
Il Fatto Quotidiano, 6 gennaio 2013