I pm ionici sollevano per la seconda volta la questione di legittimità costituzionale del provvedimento voluto dal governo perché "annienta completamente il diritto alla salute e ad un ambiente salubre a favore di quello economico produttivo"
“E’ di tutta evidenza” come la legge “salva Ilva” varata dal Governo Monti “annienti completamente il diritto alla salute e ad un ambiente salubre a favore di quello economico produttivo”. Non usa mezzi termini la procura di Taranto, che questa mattina ha sollevato per la seconda volta la questione di legittimità costituzionale del provvedimento voluto dal ministro dell’ambiente Corrado Clini per salvare lo stabilimento siderurgico di Taranto, sequestrato il 26 luglio scorso perché diffonde polveri e sostanze nocive che “generano malattie e morte”. Dinanzi al tribunale del riesame, il pool di magistrati che ha indagato i vertici aziendali dell’Ilva per associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, ha depositato, oltre alla richiesta di revoca dei custodi giudiziari perché di fatto avrebbero un ruolo in contrasto con quanto previsto dalla legge, una serie di rilievi per dimostrare come la legge 231/2012 sia in palese contratto non solo con la Costituzione italiana, ma anche con le norme della comunità internazionale (trattato di Lisbona e Carta europea dei diritti dell’uomo).
Nelle 27 pagine firmate dai pubblici ministeri guidati dal procuratore Franco Sebastio, sono descritti puntualmente le violazioni compiute dalla legge che offre all’Ilva “una vera e propria ‘cappa’ di totale ‘immunità’ dalle norme penali processuali che non ha uguali nella storia del nostro ordinamento giuridico”. I magistrati parlano di una “chiarissima la violazione dell’articolo tre della costituzione” che sancisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, specificando che nei 36 mesi previsti dal decreto “identici fatti (di reato) se commessi da alcune imprese (quelle previste dal decreto) non sono soggetti alla sanzione penale, se commessi da altre imprese (non indicate nel decreto) sono invece soggetti alla sanzione penale”.
Una discriminante, quindi, anche per aziende dello stesso settore che non sono riconosciute come “siti di interesse strategico nazionale”. Una definizione, secondo i magistrati, che non appare chiara perché “tutto sembra rimesso alla più ampia discrezionalità dell’autorità amministrativa”. E inoltre, eccepiscono ancora i magistrati, un’aziende potrebbe divenire di interesse strategico nazionale anche successivamente “rispetto all’intervento della magistratura” generando “una sospensione ingiustificata dell’operatività della legge solo per alcune imprese e non per altre”. Per quelle strategiche, insomma, vi sarebbero una serie di privilegi incostituzionali (rispetto dei limiti di emissioni, di produzione, ecc. ) che le aziende potrebbero anche decidere di non rispettare. La sanzione prevista è il pagamento di una multa del 10% del fatturato. “Sanzione che ovviamente – scrivono i pubblici ministeri – risulta totalmente inadeguata a tutelare salute e ambiente” perché “per un periodo di 36 mesi in sostanza l’impresa ha la possibilità di inquinare anche se, per avventura, e possibile stabilire molto prima di tale termine che la stessa non si adeguerà alle prescrizioni stabilite dall’aia (autorizzazione integrata ambientale, ndr)”.
Il provvedimento, infatti, non prevede “nessun blocco dell’attività produttive quindi delle emissioni nocive”. Ed è qui che il Governo si è superato. Nell’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata il 27 ottobre, infatti, “era possibile giungere a livello sanzionatorio anche al blocco degli impianti”, ma con il decreto divenuto poi legge “viene eliminata la possibilità di giungere alla eliminazione delle emissioni nocive a livello sanzionatorio e viene introdotta esclusivamente la sanzione di natura patrimoniale: come a dire – commentano i magistrati – la produzione inquinante deve comunque continuare in danno della salute dell’ambiente, l’importante è pagare la possibilità di inquinare”. Ma la legge “salva Ilva” colpisce anche i cittadini che intendono difendersi dalle emissioni nocive della fabbrica. “Nessuno – spiegano infatti gli inquirenti – può chiedere di bloccare le emissioni di diossina benzopirene e altri inquinanti in modo diffuso e incontrollato causa di gravissimi danni alla propria salute ambiente in cui vive. Il giudice che dovesse ricevere una domanda (citazione, ricorso, ecc.) di questo tipo dovrebbe rigettarla perché la legge autorizza tali emissioni”.
La decisione del tribunale del riesame di sollevare alla Consulta la questione di legittimità non arriverà prima di giovedì, giorno in cui la difesa dell’Ilva dovrebbe depositare delle memorie difensive sulle perplessità sollevate dalla procura. Intanto il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante si è detto “perplesso rispetto a quanto sta accadendo. E’ difficile – ha commento l’ex prefetto di Milano, anche lui finito nel registro degli indagati – comprendere le ragioni di quello che non può non definirsi un vero e proprio accanimento della Procura nei confronti dell’Ilva: accanimento che colpisce non solo l’impresa, ma soprattutto le migliaia di lavoratori e le loro famiglie”. Secondo Ferrante “la Società ha già iniziato ad applicare l’Aia; abbiamo già compiuto i primi passi in tal senso con l’inizio del rifacimento delle cokerie 5 e 6 e dell’altoforno 1, fermati nel mese di dicembre; dai primi di gennaio abbiamo iniziato il rifacimento anche delle cokerie 3 e 4 e a seguire intraprenderemo i lavori previsti agli altoforni 2, 4 e 5”. Ferrante aggiunge inoltre che “l’Arpa ha dichiarato recentemente che la situazione ambientale di Taranto è sotto controllo, con una diminuzione sia del PM10 che del contenuto di benzo(a)pirene” dimenticando tuttavia che questo è stato possibile grazie alle misure imposte dai custodi giudiziari e dalla stessa procura di Taranto. Misure contro le quali, quasi puntualmente, l’Ilva ha presentato ricorso. Secondo Ferrante l’opposizione dei magistrati alla legge “che prevede che l’Azienda possa continuare a lavorare e spedire i prodotti lavorati e semilavorati già da fine luglio” è privo di “ragionevoli motivi“.
L’azienda ha poi annunciato di aver messo in atto “un grandissimo sforzo finanziario per procedere regolarmente al pagamento degli stipendi del mese di gennaio. Mi auguro – ha concluso Ferrante – che la situazione possa evolvere positivamente per fare altrettanto il prossimo mese” perché “va da sé che lo sblocco della merce è a questo punto imprescindibile per continuare la vita aziendale che è gravemente danneggiata” dai provvedimenti della Procura.