E’ da un po’ che mi pongo una domanda, che vi rigiro. Se mi costringessero a votare – pistola alla tempia – tra Monti (e derivati) e Berlusconi (e derivati), cosa farei? Scegliere sarebbe, prim’ancora che tremendo, pressoché tremendo. Vedo, in Monti e nei montiani, il peggio di quarant’anni di cancrena democristiana; lacchè montezemolisti, yuppie asessuati, bigotti terrificanti. Una ferocia economica inaudita. E una spocchia bocconiana che fa mancare l’aria. Gli Ichino, gli Andrea Romano. I Casini, i Fini. Che bella compagnia.
Elettrizzante come una cover band dei Ricchi e Poveri con Povia nella parte della brunetta canterina. Mario Monti (l’amatissimo ex Garibaldi di Don Litania Scalfari, che come sempre ha capito la realtà con dieci anni di ritardo) è un mix tremendo tra Rumor, Forlani, Marchionne, Paolo Limiti e la Binetti. Un Terminator in slow motion. Un cyborg che trasuda umanità da tutti i microchip (questa è degli autori Crozza).
Non voterei Berlusconi neanche sotto tortura. Ma dico convintamente lo stesso di Monti. Piuttosto mi abbono al fan club di Vecchioni. E questo giornale lo affermava (anzi dimostrava) anche nel novembre 2011, quando metà Italia prese una insopportabile e colpevolissima sbornia – ricordate gli orgasmi delle para-femministe dopo le lacrime di Santa Fornero? – per questa pseudo-sobrietà “moderata”.
Se fossimo andati al voto a fine 2011, Berlusconi non esisterebbe più politicamente e avremmo da più di un anno un governo di centrosinistra che peggio non avrebbe potuto fare (esodati, disoccupazione per nulla scalfita, debito che cresce: se questi erano competenti, lo tsunami è una brezza marina). Oltretutto – lo ricordo a quei comici inconsapevoli tuttora convinti che il rischio della democrazia italiana sia la cosiddetta “antipolitica” – Grillo sarebbe arrivato a fatica al 4 % e Ingroia farebbe ancora il magistrato. Disinnescarli, per i Bersani e le Bindi, sarebbe stato facile. Invece, a febbraio, andremo verso un esaltante pareggio al Senato e un probabile mega-inciucio tra Bersani e Monti, con Vendola a girarsi i pollici: grazie, Napolitano.
Mario Monti non è mai stato un tecnico super partes. Mai. Era una fiaba a uso e consumo della stampa riformista, dell’intellighenzia quasi-bollita e dei salotti candidi che tanto piacciono alla sinistr(in)a. Mario Monti è (sempre) stato il leader presentabile all’estero e implacabile in patria di una ghenga di cattedratici sideralmente distanti (tranne rari casi) ai problemi della gente comune, con la fregola di “silenziare” sindacati e una sinistra che definire “estrema” è come dire che Enzo Salvi è Edward Norton.
Se la risposta a vent’anni di berlusconismo è la Rifondazione Cristiana, siamo definitivamente senza speranza. Vi prego, amici marziani e compagni venusiani: se davvero andrà così, invadeteci. Bombardateci con la kryptpnite. E non salvateci con l’ambra (questa la capisce solo chi guarda Fringe).
Tra Monti e Berlusconi scelgo l’uva passa, che – come noto – dà pure più calorie.