“I mugugni ci sono sempre ma così io posso vincere”. Roberto Maroni lo ammette senza troppi tentennamenti: l’alleanza con il Pdl è fondamentale. Senza i voti del partito di Arcore la Lega non riesce a conquistare la Lombardia, dice Maroni. Ed è proprio questo che spinge buona parte dei militanti a criticare l’intesa tra via Bellerio e via dell’Umiltà, spingendone alcuni ad annunciare che stracceranno la tessera. Gli stessi che hanno scosso il partito un anno fa, contestando la gestione di Umberto Bossi e permettendo l’avanzata di Maroni, oggi ne criticano la gestione: si è rivelata fotocopia della vecchia. E con gli stessi metodi. I commenti critici cancellati con fulminea rapidità dalle pagine Facebook di Matteo Salvini, Maroni e dei vari colonnelli. Un apparato comunicativo blindato che ha, come unica differenza con il passato, l’organizzazione verticistica e militaresca affidata nelle mani di Isabella Votino da Montesarchio, provincia di Benevento. Sembra tornato il tempo della Pravdiana. Diversi solo il volto e il nome: da Bossi a Maroni.
Questo è quanto appare all’esterno. Agli osservatori come ai militanti. Fino a poche settimane fa il no a Berlusconi era una certezza granitica. A guardare indietro nei mesi il nano di Arcore era indicato come il nemico numero uno. E invece la storia si ripete, si torna al 1995. Bossi fa cadere il governo Berlusconi, la Padania spara sul “mafioso di Arcore”, gliene tira dietro di ogni. Poi di nuovo amici. E chi fece da pacere tra i due? Giulio Tremonti. Lo stesso su cui oggi si metteranno d’accordo Maroni e Berlusconi per indicarlo premier.
Non c’è più Bossi col dito medio, non ci sono le ampolle e per strada si è persa Miss Padania e il prato di Pontida. Le folkloristiche (ma vere) adunate sono state rimosse quasi come una vergogna. Ora il partito si riunisce a Cernobbio, il 14 e 15 prossimo, la dove a settembre si svolge il workshop Ambrosetti, universo di Mario Monti. Ai militanti che da venti anni credono nelle promesse del partito del Nord, che hanno seguito fedelmente ovunque Bossi, oggi il nuovo Capo riesce a dire che loro non bastano, che su di loro non può fare affidamento perché altrimenti perde la Regione Lombardia, la sua personale sfida e coronamento di un sogno: diventare governatore. Come un Roberto Formigoni qualsiasi che sfrutta i bacini di voti di Comunione e Liberazione, gli amici lobbisti, le sponde di Udc e chiunque serva non per la difesa e la lotta per un ideale, ma solo con l’obiettivo di racimolare più voti possibili e vincere. Alla faccia dello slogan Prima il Nord: prima c’è Maroni. A loro, il nuovo Capo, dice che senza voti del Pdl non si va da nessuna parte. Vale ricordare che quando Marco Formentini divenne sindaco di Milano il Carroccio non solo era da solo ma Forza Italia neanche esisteva. E tralasciando il primo successo vero a Roma, perché falsato dalla stagione di Tangentopoli (nel 1992 con l’8,6% alla Camera e l’8,2% al Senato dei voti e 80 parlamentari eletti), quando Bossi nel 1996 decise di andare da solo alle politiche sparando sull’ex alleato Berlusconi e senza stringere alleanze portò a casa il 10,4% dei voti a livello nazionale (con ben il 30% in Veneto e il 25% in Lombardia) e 87 parlamentari. Vinse Prodi, certo, ma il Carroccio ebbe uno dei suoi momenti storici migliori. Nel 2001 torna l’alleanza con l’amico Silvio, nasce la CdL e i risultati elettorali vedono la Lega in forte calo rispetto al passato: 3,9% dei consensi nella quota proporzionale e solo 47 parlamentari eletti nel maggioritari.
Dunque giova davvero l’alleanza con Berlusconi? Soprattutto oggi che anche nello stesso Pdl l’ex cantante da crociera è rinnegato? Maroni è davvero convinto di non poter fare affidamento solo sugli elettori del Carroccio? Sui militanti che hanno digerito gli scandali di Belsito e Rosy Mauro, del Trota e dei rimborsi regionali e ora al Senato? Su quella base che nonostante tutto continua a credere nel progetto della difesa del territorio e che ha sostenuto Maroni perché credeva principalmente nella sua ferma contrarietà a Berlusconi. Credeva (e scommetteva) in quel Maroni che già ben prima del novembre 2011 voleva mandare a casa Silvio. E che invece oggi lo riabbraccia, sostenendo addirittura che è indispensabile alla Lega. “I mugugni ci sono sempre”, è vero: sono gli stessi che lo hanno fatto diventare segretario. “Ma così io posso vincere”. Sicuro?