Rinviato a giudizio per camorra, o inquisito per bancarotta fraudolenta. Oppure in attesa di sentenza per reati contro la pubblica amministrazione. Nessuno di questi è un impedimento a un posto nelle liste del Pdl in Campania. Tra Camera e Senato, c’è spazio. E’ il partito in cui l’unico criterio di incandidabilità pare essere quello dell’età e della lunghezza del mandato: rischi di stare fuori solo se hai più di 65 anni o sei hai collezionato più di 15 anni di esperienza parlamentare. Deroghe a parte.

A cominciare da Nicola Cosentino, 17 anni di parlamento alle spalle e due ordinanze di arresto in carcere respinte dalla Camera ma tuttora valide e culminate in due processi. Il primo per collusioni con la camorra, il secondo per aver fatto da collegamento tra banca e imprenditori in odor di criminalità organizzata per strappare un mutuo in favore della realizzazione di un centro commerciale a Casal di Principe (Caserta). Il Gip di Napoli Egle Pilla lo ha definito nella seconda ordinanza di arresto “il referente politico nazionale del clan dei Casalesi”. La deroga, Cosentino, la deve avere: altrimenti per lui si spalancherebbero le porte della galera. Anche se proprio Berlusconi, in una delle sue apparizioni televisive di oggi (nello specifico a Porta a Porta) si è spinto a dire che l’ex coordinatore regionale del partito potrebbe rimanere fuori. Cosentino peraltro si è solo formalmente dimesso da coordinatore regionale del Pdl, carica che di fatto continua a ricoprire a braccetto col commissario Francesco Nitto Palma. Ha persino partecipato al vertice tra i coordinatori e commissari provinciali Pdl, convocato da Nitto Palma per discutere delle candidature. Pur non avendo un incarico ufficiale nel partito.

Deroga in vista anche per Mario Landolfi, deputato di Mondragone da 19 anni ed ex ministro delle Comunicazioni di un dimenticabile governo Berlusconi, assurto a imperitura fama quando presiedeva la commissione di Vigilanza Rai per aver passato un bigliettino all’allora direttore del Tg1 Gad Lerner raccomandando l’assunzione di una giornalista precaria. A maggio Landolfi è stato rinviato a giudizio per concorso in corruzione e truffa aggravate dall’avere agito per favorire i clan casalesi. Avrebbe corrotto un consigliere comunale di Mondragone facendolo dimettere un mese prima della scadenza del consiglio, del quale si impedì così lo scioglimento; in cambio il parlamentare gli avrebbe offerto un contratto di lavoro di tre mesi per la moglie nel consorzio “Eco4” e un posto nella futura giunta comunale.

In caso di mancata riconferma – ha quattro legislature alle spalle – rischia l’arresto (ma solo ai domiciliari) il sindaco di Afragola e senatore Vincenzo Nespoli, che è riuscito a mantenere entrambe le cariche perché il Parlamento ha applicato la sentenza sull’incompatibilità dei primi cittadini ai soli deputati. L’ordinanza cautelare risale al maggio 2010. Nespoli è indagato di concorso in bancarotta e riciclaggio nell’ambito di un’inchiesta sul fallimento di una ditta di vigilanza e sulla distrazione di fondi verso alcune operazioni immobiliari di una società riconducibile alla moglie. Mentre l’accusa di corruzione elettorale – promesse di assunzioni nelle società di vigilanza in cambio di voti – è caduta in prescrizione.

In corsa per la riconferma in Campania altri due inquisiti eccellenti, i deputati Alfonso Papa e Marco Milanese. Papa, ex pm di Napoli poi distaccato al ministero di Giustizia, è sotto processo per le trame della P4 ed è indagato per l’uso ‘privatistico’ delle auto blu della Finanza, messegli a disposizione per accompagnare la famiglia al mare e i figli a scuola. Milanese, già ufficiale della Finanza, ha rischiato il carcere (richiesta rigettata dal voto della Camera) ed è stato recentemente raggiunto da una richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Napoli per corruzione: gioielli, soldi, favori e viaggi per circa un milione di euro ricevuti da un imprenditore del ramo assicurazioni a cui avrebbe offerto ‘protezione’ rispetto a indagini in corso. Milanese inoltre è imputato a Roma per finanziamento illecito nell’ambito del processo sugli appalti Enav ed iscritto nel registro degli indagati a Milano per corruzione nell’inchiesta sul presidente di Bpm, Ponzellini, dove è indagato un altro parlamentare napoletano in cerca di riconferma, il deputato Amedeo Laboccetta.

Mentre è freschissima la richiesta di condanna di un altro parlamentare Pdl, l’ex prefetto di Caserta Maria Elena Stasi, colei che avviò le procedure per lo sblocco delle interdittive antimafia a carico delle imprese della famiglia Cosentino, attraverso procedure legittime e corrette ma poco applicate in passato. Nell’udienza dell’8 gennaio il pm Antonello Ardituro ha chiesto per lei due anni e otto mesi di reclusione per fatti risalenti a quando era commissaria prefettizia di Caserta: avrebbe fatto aggiudicare illegalmente un appalto per l’installazione delle centraline dell’aria a una ditta intestata a un prestanome del famigerato ex consigliere regionale Udeur Nicola Ferraro, condannato in primo grado per camorra.

In questo poco idilliaco quadretto di plurinquisiti, il discusso Luigi ‘Giggino ‘a Purpetta’ Cesaro, sfiorato da mille voci e dimessosi da presidente della Provincia di Napoli per farsi confermare per la quarta volta a Montecitorio (pronta la deroga anche per lui), fa la figura di un giglio immacolato. Non ha indagini penali a carico, dopo che la sua posizione nell’inchiesta Cosentino-bis è stata archiviata. Ma è inseguito dalla Corte dei conti di Napoli che gli intima di restituire 700.000 euro di danni erariali per l’abuso di consulenze nella società provinciale dei rifiuti. Lui non si è fatto trovare impreparato all’appuntamento della notifica: pochi mesi prima, infatti, aveva effettuato una serie di donazioni ai suoi familiari, mettendo i beni al riparo.

Insomma, l’unico indagato campano che quasi certamente non tornerà in Parlamento dovrebbe essere il corpulento senatore-giornalista napoletano Sergio De Gregorio: in qualità di ex socio del faccendiere Valter Lavitola ha sul groppone una richiesta di arresto per i 23 milioni di euro di finanziamenti illeciti al quotidiano ‘L’Avanti’. Il suo nome non ricorre nelle trattative per la composizione delle liste, il suo movimento personale ‘Italiani nel mondo’ pare dissolto tra le disavventure economiche e le inchieste. Sarebbe l’eccezione che conferma la regola.

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