“L’attuazione di questo decreto permetterà di riconsiderare la scelta di realizzare la discarica provvisoria a Monti dell’Ortaccio”. E’ il 7 gennaio, il ministro dell’Ambiente Corrado Clini presenta il decreto che dovrà salvare Roma dall’emergenza rifiuti, una road map che punta tutte le carte sugli impianti sparsi nel Lazio. Ma al centro dell’attenzione c’è quella parola che i tanti comitati della zona di Ponte Galeria aspettavano: “riconsiderare” la scelta del commissario Goffredo Sottile, promette il ministro. Un sospiro di sollievo. Passano 24 ore e, in sordina, le carte cambiano. Sul bollettino ufficiale della Regione Lazio l’8 gennaio appare un documento che suona come una beffa: è l’autorizzazione alla realizzazione di una discarica per accogliere 4 milioni di metri cubi di rifiuti, aperta 24 su 24, per tre anni. Dove? A Monti dell’Ortaccio, il sito “riconsiderato”. Cosa è accaduto? “Quell’ordinanza l’avevo firmata prima del nuovo incarico di commissario – spiega il prefetto Goffredo Sottile, divenuto “supercommissario” con il nuovo decreto Clini – e quell’atto ora rimane, non è stato revocato”. Dunque, il pallino del gioco torna ora in mano all’avvocato Manlio Cerroni che da potrà avviare i lavori sul sito contestato.
Il decreto del ministro Corrado Clini rischia così di perdere di senso poche ore dopo la firma. O quasi. Quel che rimane di quel provvedimento è la lunga sfilza di autorizzazioni a tempi forzati per moltissimi impianti di gestione dei rifiuti, con in comune una logica industriale precisa: la trasformazione in energia, la produzione del combustibile per gli inceneritori.
La scelta di Clini di trasferire i rifiuti romani negli impianti delle province laziali aveva suscitato moltissime proteste. I due principali progetti pronti ad accogliere i rifiuti della Capitale si trovano a Latina, nella discarica di Borgo Montello. Nella richiesta di autorizzazione integrata ambientale presentata lo scorso luglio da Ecoambiente (uno dei due operatori presenti, il cui amministratore delegato Bruno Landi è indagato per reati ambientali), oltre alla realizzazione di un impianto per il trattamento dei rifiuti in loco – che Clini vuole autorizzare con i poteri commissariali – è previsto l’ampliamento della attuale invaso, che passa da una volumetria di 400 mila metri cubi a circa 600 mila. Quasi un raddoppio. Un iter semplificato a favore di un’azienda partecipata da Cerroni, presente in molti impianti interessati dal decreto.
Nella stessa zona c’è la discarica gestita dalla società Indeco, appartenente al gruppo Grossi, già al centro di un inchiesta milanese per la bonifica di Santa Giulia. A Ilfattoquotidiano.it l’ex direttore dell’impianto Achille Cester aveva raccontato come qui arrivasse un po’ di tutto e delle pessime condizioni in cui versava il sito negli anni ’90. L’Indeco ha presentato un mega-progetto per la realizzazione di impianti di trattamento e di recupero energetico, su alcuni terreni acquistati di recente da un ramo pontino della famiglia Schiavone di Casal di Principe. Una presenza strettamente legata al ciclo dei rifiuti, come raccontava in un interrogatorio il collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, fin dai primi anni ’90. Su questa stessa area la provincia di Latina sta ora chiedendo la realizzazione di un nuovo inceneritore, che potrà accogliere le ecoballe prodotte dagli impianti laziali.
Destinatario del decreto firmato dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini è anche l’impianto di trattamento dei rifiuti di Albano Laziale, nei Castelli romani, a una ventina di chilometri dalla capitale, che entro quindici giorni dovrà aumentare la sua capacità di trattamento. La proprietà è sempre di Manlio Cerroni. Sull’attività di questi impianti – strettamente collegati ad una megadiscarica, composta da otto invasi – pende da almeno tre anni l’inchiesta che sta facendo tremare la Capitale. Partita in sordina dal pm di Velletri Giuseppe Travaglini, l’indagine era arrivata ad una prima svolta nel 2011, con la richiesta di arresto per otto persone, tra componenti del gruppo Cerroni e funzionari regionali. Lo scorso maggio il gip di Velletri – come ha ricostruito recentemente l’Espresso – ha trasmesso tutti i fascicoli al tribunale di Roma per competenza territoriale. L’ipotesi di reato era di associazione per delinquere, truffa e traffico illecito di rifiuti: per i pm dietro al produzione di Cdr – il combustibile per rifiuti – ci sarebbe un raggiro milionario. Accuse sempre respinte dal gruppo Cerroni, oggi pronto ad accogliere a braccia aperte i rifiuti in arrivo da Roma. Un puzzle delicato e complesso, che si incrocia pericolosamente con inchieste delle procure e siti ad alto rischio.