Ieri ho letto il post “Carolina, giovane donna italiana suicida nel 2013″ di Lorella Zanardo, sul gesto autodistruttivo di una giovane che rievoca quello del ragazzo suicidatosi qualche mese fa. Forse in queste due tragedie una parte l’ha avuta anche il sessismo? Senza entrare nel vivo di queste due vicende, negli incontri formativi che ho fatto in passato, nelle scuole medie e superiori è risultato che anche tra gli adolescenti, purtroppo, si continuano ad adoperare insulti sessisti all’insegna di donne, uomini, e coetanei. Se si vuole colpire od offendere, spesso nel mirino ci sono i comportamenti o gli orientamenti sessuali. Quando andavo al liceo erano i muri della scuola che facevano “giustizia” insieme ai pettegolezzi del desiderio delle ragazze ma oggi disponiamo di mezzi nuovi che possono amplificare i messaggi compresi quelli negativi. Abbiano conosciuto storie dolorose di adolescenti messi alla gogna anche sul web. I social network possono diventare una gogna terribile qualcosa che puoi vedere e leggere ogni giorno con i tuoi occhi se sei un bersaglio. Il web è uno strumento neutro che può essere adoperato in maniera creativa e distruttiva anche per mettere alla berlina qualcuno o qualcuna. Uno strumento nuovo che può veicolare contenuti e modalità di relazione involute o che sanno di muffa: “frocio”, “puttana”, e gli adolescenti sono quelli che possono soffrirne di più, hanno personalità ancora in formazione e sono vulnerabili, assetati di conferme e di relazioni affettive.
Gli insulti sessisti dopo gli anni della rivoluzione sessuale avrebbero dovuto sparire, perdere potenzialità offensiva. Invece no. Sono ancora lì, come quei pregiudizi che li mantengono in vita e sono adoperati perché ancora feriscono, perché siamo cambiati e siamo cambiate ma non più di tanto; anzi negli ultimi anni siamo tornati indietro con una involuzione di cultura e di riconoscimento di diritti. L’omofobia e il sessismo sono la cartina di tornasole, tanto più rigurgitanti violenze quanto più la società resiste ad un cambiamento nelle relazioni donna – uomo e nel modo un cui si ha il diritto di vivere le scelte sessuali. Quelle che restano sempre uguali sono la paura e la violenza che resistono e trovano nuovi fronti su cui fare vittime.
Scortum era la parola che definiva le prostitute nell’antica Roma, si trattava di un vocabolo appartenente alla declinazione del neutro, perché in latino si declinavano al neutro gli oggetti o le piante ad esempio, ovvero cose inanimate o elementi della natura, prive di soggettività. Ancora oggi insultare una donna dandole della puttana o della troia significa sottrarle soggettività, cercare di annichilirla a una mera funzione sessuale: quell’insulto in sé non costituisce solo un atto di violenza verbale, ma implica una sottintesa minaccia (che ogni donna avverte) dell’esposizione a potenziali violenze. E infatti è quasi sempre quell’insulto che viene rivolto alle donne che subiscono violenza, durante lo stupro (o le percosse nella violenza domestica) e anche dopo lo stupro. E’ quello che si dice di una donna che viene stuprata quando si prendono le parti degli stupratori, cosa che da noi avviene spesso. “Se l’è andata a cercare?”. Perché se “sei puttana. Sei terra di nessuno e non appartieni nemmeno a te stessa.” La morale è sempre quella.
Per l’otto marzo dovremmo fare la marcia delle puttane e sfilare in corteo con i cartelli e gli epiteti che la nostra fantasiosa lingua ci offre in tutte le sue varianti: troia, puttana, zoccola, bagascia, mignotta, meretrice, sgualdrina, eccetera e come unico slogan ridere fragorosamente. Una risata per destrutturarne il senso, una risata per far scoppiare la bolla di pregiudizio sessista su cui si reggono gli insulti sessisti, per ridere dei contenuti sottintesi e ridere a crepapelle di chi vuole etichettare le donne sessualmente o mettere un marchio alle scelte sessuali di uomini e donne.
di Nadia Somma