Lo spettacolo è nato da un’idea abbastanza semplice: seguire il processo che porta il protagonista incognito, E.K., a compiere il suicidio per impiccagione che tanto desidera sin dalla prima scena. Anche se di primo acchito potrebbe sembrare materiale utile per una tragedia, in realtà La variante E.K. è uno spettacolo frizzante, divertente. La sfida sta proprio nel riuscire a ridere e a far ridere, di argomenti funebri come la morte e il suicidio, sfuggendo ai tabù morali. “Il processo di strutturazione dello spettacolo è stato abbastanza lungo – spiegano Ruocco e Talarico – inizialmente, ad esempio, il ruolo del pubblico non era così importante, mentre proprio l’inserimento di un perfetto sconosciuto al centro della scena ha dato allo spettacolo l’organicità e il ritmo che ha oggi”.
La variante E.K. in scena dall’8 al 13 gennaio al Teatro dell’Orologio, è un’ulteriore evoluzione dello spettacolo breve E.K. che lo scorso anno è stato allestito nei vari locali e teatrini di Roma. Sono state inserite nuove scene, grazie anche ai feedback che sono arrivati durante le repliche dello spettacolo breve. Sono stati poi aggiunti dei manifesti mortuari video-proiettati in cui si indicano i titoli alle scene, “il tutto per rendere il suicidio di E.K. ancora più eclatante!”.
Come definireste il vostro genere teatrale?
Il nostro è un teatro di parole masticate, sguardi di sbieco, risate malcelate, oscurità ghignanti e freddure inascoltabili. In scena siamo due, scuri e taglienti, circondati da oggetti e persone che manipoliamo con divertimento. Siamo partiti da spunti brechtiani, beckettiani, futuristi addirittura. Ma ormai le scene ci vengono in mente da sole, noi le mettiamo solo in ordine, cercando di trovare una struttura ai nostri deliranti mondi.
Mi parlate della vostra formazione artistica?
Lavoriamo insieme da oltre dieci anni. A livello didattico abbiamo seguito alcuni corsi teatrali da giovanissimi, ma possiamo dire che il nostro modo di far teatro è una cosa che abbiamo costruito da soli col tempo. Abbiamo una vasta collezione di copioni di spettacoli, più o meno lunghi, molti dei quali mai realizzati, ma da cui senza dubbio derivano quelli che oggi portiamo in scena. Nel tempo abbiamo aperto tante collaborazioni, più o meno durature, con altre persone, ma il nucleo fisso di DoppioSenso Unico, fin dalla fondazione, rimaniamo noi due. Oscuri e grotteschi, come il teatro che portiamo in scena. È questa la chiave di lettura: i nostri spettacoli ce li cuciamo addosso, ci giochiamo non li interpretiamo. Non siamo campioni di formazione, ma di ‘naturalezza’!
Qual è il messaggio che vi piacerebbe che chi assiste vorreste recepisca?
Cercare un messaggio da recepire in uno spettacolo che parla di un aspirante suicida? Di certo non sarebbe un messaggio positivo! Forse è meglio lasciar perdere, ma se proprio ne vuoi uno, sta nascosto proprio nel riuscire ad affrontare la materia funebre con ilarità e divertimento. Ed è quello che è finora successo al nostro pubblico, sia quello trascinato in scena sia quello rimasto in platea.
C’è una corrente artistica storica di cui avreste voluto far parte?
Del Dadaismo, fino a un po’ di tempo fa, per la giocosa esuberanza dei momenti migliori. E del Surrealismo, per la deriva paranoica dell’immaginario inascoltato. Soprattutto però dell’arte greca classica, per la fantastica mutilazione dei corpi scultorei ceduti al tempo.
Un motivo per cui non si può mancare al vostro spettacolo.
Chi viene ne è parte integrante e non venire è negarsi qualcosa.