Mi spiego meglio: se oggi Monti spinge per un contro cambiamento è perché il grado di invarianza del sistema per lui è funzione della sua irriformabilità. Lo stesso grado di invarianza per me è invece il contrario, cioè funzione di riformabilità. Il ragionamento comune è che non ci sono state vere riforme. Ma davvero è così? Mentre mi pongo la domanda sto immaginando cosa potrebbero rispondermi soprattutto gli assessori di punta di questi anni, cioè i rappresentanti più autorevoli di quello che per me è sempre stato un pensiero riformatore marginalista. “Ma scherziamo”… direbbero tutti quanti scandalizzati… e giù a elencare, società per la salute, aree vaste, chiusure di ospedali, nuovi servizi territoriali, risparmi, delibere di riorganizzazione, razionalizzazioni, piani a non finire, pareggi di bilancio, aree ad alta intensità di cura. Ebbene tutto questo per me ha un grande valore che non mi sognerei di negare, ma quando è andato bene è “miglioramento” non “cambiamento”. Cioè una buona amministrazione date le circostanze.
Oggi Monti, ma anche alcuni responsabili della sanità del Pd, dicono non solo che il marginalismo non basta ma che non bastano né il miglioramento né la buona amministrazione e invocano la seconda e terza gamba dell’integrazione. Ma quali riforme mai fatte? Quelle che riguardano il paradigma di tutela che nonostante tutto è rimasto sostanzialmente mutualistico, modelli di assistenza fortemente anacronistici, forme professionali sclerotizzate in vecchi schemi burocratici , una idea di paziente che non esiste più, una medicina scientista ottocentesca nei suoi fondamentali epistemologici, quindi un sistema sanitario che tradisce oggi più di ieri una sempre più marcata regressività nei confronti sia del cambiamento sociale che del cambiamento economico.
Nel primo caso si ha una forte sofferenza nei rapporti tra società e sanità nel secondo caso si ha una crescita dell’antieconomicità della spesa quindi una relativa alta costosità del sistema anche se la spesa sanitaria non è oggettivamente tra le più alte. Oggi Monti interpreta la regressività come eccesso di costosità mentre io come sofferenza sociale e costosità. Per Monti è del tutto logico affrontare il problema con una contro riforma perché non si pone la questione della sofferenza sociale.
Per me è il contrario, una riforma deve servire a dare risposte sia alla società che all’economia. Per Monti la parola d’ordine è sostenibilità che non è altro che l’esasperazione delle politiche di compatibilità di questi anni, per me la parola d’ordine è compossibilità cioè una nuova idea di coesistenza tra diritti e limiti per la quale serve un cambiamento profondo. Per Monti quindi oggi c’è bisogno di un controriformatore per me oggi per contrastare Monti c’è bisogno di un riformatore, il vantaggio di Monti è che lui il controriformatore ce l’ha io invece il riformatore non ce l’ho. Senza riforma la controriforma è inevitabile, senza il riformatore è difficile fare riforme se non c’è il riformatore va costruito. Chiedo all’intero schieramento politico: chi è disposto a essere il riformatore che non c’è? O quanto meno ad aiutarci a costruirlo?
Il Fatto Quotidiano, 10 Gennaio 2012