A scuola di finanza grazie alle banche, che potranno entrare negli istituti primari e secondari del Regno Unito grazie a una nuova direttiva che sarà applicata al sistema educativo britannico a partire dal settembre del 2014. E le banche, proprio quelle responsabili, nell’ultimo decennio, della vendita di titoli tossici e di prodotti finanziari non proprio etici, potranno così mandare degli esperti, che saranno equiparati in tutto e per tutto agli insegnanti, nelle scuole di Sua Maestà. La notizia arriva dal Financial Times, il principale quotidiano economico del Regno Unito e uno dei più influenti al mondo, che ha riportato la battaglia per la quale, nel parlamento di Westminster, si è formato il più grande gruppo di deputati, al di là dell’appartenenza politica. Ben 225 parlamentari che si riuniscono nel palazzo sotto il Big Ben, infatti, hanno fondato il gruppo Financial education for young people.
E, grazie alla loro opera di lobby, sono riusciti a far inserire questo cambiamento epocale all’interno del curriculum scolastico dei giovani britannici. Non che le banche, fino ad ora, siano state assenti dalle scuole del regno. Istituti di credito come Lloyds, Royal Bank of Scotland e Barclays hanno, già da anni, tenuto lezioni e portato avanti programmi di gestione del risparmio. Ma è la prima volta che la pratica viene istituzionalizzata e soprattutto è la prima volta che potranno parlare apertamente di finanza. Una nuova materia, quindi, che deputati e altri politici vogliono associata alla matematica. E una nuova materia che spaventa in molti, soprattutto insegnanti e sindacalisti del settore dell’educazione.
Sempre intervistata dal Financial Times, Christine Blower, segretario generale del Nut, il principale sindacato degli insegnanti del Paese, ha detto: “Docenti e genitori devono stare sempre attenti quando si intrecciano rapporti con colossi commerciali. I bambini non dovrebbero essere esposti, a un’età in cui si è facilmente impressionabili, a compagnie private desiderose di lasciare un’impronta negli istituti scolastici”. Perché qui sta il punto: alle banche sarà infatti concesso di usare brand e loghi commerciali, di parlare dei loro prodotti, finanziari e non, e di fare quindi pubblicità in modo aperto e quasi gratuito. The Personal Finance education group, un’associazione per la promozione della finanza, cerca di mettere una pezza: “La nostra indipendenza ci porterà a non promuovere prodotti di singole banche”. Ma questo gruppo è solo uno dei tanti che, assieme agli istituti di credito, sarà autorizzato a entrare nelle scuole, nulla quindi si può ancora dire sull’operato delle grandi banche.
Royal Bank of Scotland e NatWest, negli ultimi 18 anni, hanno spiegato a oltre 1.200 bambini che cosa voglia dire gestire il proprio denaro. Santander è entrata negli istituti per raccontare il ruolo delle banche nella società. Barclays invece si è occupata di studenti più in là con gli anni, dai 16 ai 25. Ma ora, appunto, la svolta “finanziaria”. Che cosa spiegheranno mai dei titoli tossici e del crollo dei mercati mondiali del 2008? O dei titoli di Stato o dei paradisi fiscali? Questi e altri dubbi, ora, stanno iniziando a tormentare insegnanti e genitori, nonostante il Centre for Economic and Business Research, un gruppo di studio, abbia da poco identificato in 3,4 miliardi di sterline all’anno il danno all’economia britannica dovuto alla mancanza di educazione finanziaria. Ma, dall’altro lato, c’è pure Which?, un’associazione per la difesa dei consumatori, che non molti mesi fa ha pubblicato uno studio dalla conclusione semplice e scontata, quanto spiazzante allo stesso tempo: “Chi lavora in banca è ancora guidato dall’ossessione delle vendite, piuttosto che dallo spirito di servizio”, hanno scritto gli esperti del gruppo d’azione.