Stop all’impunità fiscale per le banche. L’appello, se così si può chiamarlo, arriva dai giudici della Cassazione. L’occasione è data dalle motivazione della sentenza con cui i supremi giudici avevano dissequestrato 245 milioni di euro nell’ambito dell’inchiesta milanese Unicredit-Brontos, che ha già portato l’istituto a transare con il Fisco e a un processo penale, che è da poco stato trasferito per competenza da Milano a Bologna.
Per le banche e le grandi società “ben può parlarsi di una vera e propria impunità fiscale” dato che “l’attuale sistema punitivo, e soprattutto quello volto al recupero dei proventi del reato attraverso la confisca di valore, nella materia dei reati tributari” è “inefficace e evidenzia una disparità di trattamento in riferimento alla previsione della confisca”, sottolineano i giudici nelle motivazioni del provvedimento 1256 depositato oggi e relativo alla conferma, datata 19 settembre, del dissequestro dei 245 milioni. Soldi che erano stati sequestrati su richiesta della Procura di Milano e su ordine del gip Luigi Varanelli, che avevano stigmatizzato come frode fiscale l’operazione Brontos che aveva permesso di “trasfigurare” in dividendi (deducibili fiscalmente al 95%) gli interessi della banca, sottoposti invece a “normale” tassazione.
Ad avviso della Corte – che passando in rassegna la normativa vigente non ha che potuto respingere il ricorso con il quale la Procura di Milano insisteva nel chiedere il sequestro cautelare della somma a Unicredit – le attuali norme, in tema di confisca per i reati tributari societari, violano il “principio di uguaglianza e parità di trattamento” perché danno un vantaggio di impunità alle “persone fisiche di dimensione non modesta”, ossia alle grandi compagini societarie. “Peraltro risulta evidente – scrive la Cassazione nel suo verdetto affidato alla penna del consigliere Elisabetta Rosi – che la mancanza di una previsione che consenta di poter ritenere la persona giuridica responsabile per gli illeciti penali tributari posti in essere nel suo interesse e a suo vantaggio, non può essere ritenuta mera conseguenza di una ragionata scelta discrezionale del legislatore”.
Insomma, le norme sono un disorganico guazzabuglio. “Occorre anche notare che ad assetto vigente – prosegue la sentenza – il legislatore italiano ha finito per differenziare, niente affatto ragionevolmente, la fattispecie, anche sotto il profilo dell’aggressione ai patrimoni illeciti, a seconda della natura transnazionale o meno di un reato, con la conseguenza che per quelle indagini su reati tributari compiuti nell’ambito di fenomeni associativi a carattere transnazionale (le frodi ‘carosello’) sarà ravvisabile la responsabilità delle persona giuridica ed operare la confisca per equivalente dei beni della società coinvolta”. “Un analogo provvedimento – conclude la Cassazione – non sarà, invece, possibile nei confronti di una società che, magari a fronte di un ammontare maggiore di imposte evase, non si connoti per la natura transnazionale del consortium sceleris”. Niente confisca, invece, per la maxifrode tutta “made in Italy”.
Secondo i giudici, poi, “è pacifico che sussistono gravi indizi che gli indagati (tra i quali spicca l’ex amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo ora presidente di Mps, ndr), alcuni di essi in rappresentanza dell’ente, abbiano posto in essere la complessa trama fraudolenta in danno dell’Erario, a vantaggio e nell’interesse delle società bancarie poi confluite in Unicredit spa”, tesi sostenuta dalla Procura di Milano.