Politica

La demagogia di Berlusconi, la sinistra e la necessità di una nuova agenda

Premessa: sì, ieri ho visto Servizio Pubblico, non senza l’aiuto di una buona dose di Maalox. No, non mi è piaciuto per niente. Santoro ha diretto un teatrino buffo in cui il satrapo si è trovato a suo agio più che mai, risultando simpatico perfino al pubblico avverso. La rivelazione nel finale di un accordo tra i due per non parlare di processi poi ha aumentato il mio mal di pancia. La sensazione che ne ho tratto, alla fine, è stata quella di un italico biscotto. Resta da capire a danno di chi.

Ma non è questo il punto. Riprendo il mio ultimo post, sull’orientamento “politico” dell’agenda Monti, per sottolineare che ancora una volta un grosso aiuto a Berlusconi lo sta dando la sinistra, stavolta sul terreno dei programmi e delle idee. Molti lettori mi hanno polemicamente fatto notare che su gran parte dei temi economici e della governance europea l’agenda Monti e quella del Pd coincidono: se Monti è di destra, che ne è allora del centrosinistra? Hanno ragione.
Servizio Pubblico ha messo in evidenza per l’ennesima volta come il centrosinistra, pervaso da un europeismo acritico e passivo, abbia lasciato a Berlusconi l’esclusiva sulle critiche all’agenda fiscale europea, argomento fondamentale per il futuro del paese.

Le istanze berlusconiane sono meramente opportunistiche e prive di credibilità, certo. Ma la sinistra fatica ancora a proporre strategie alternative all’agenda Monti, e nelle sue file quasi nessuno osa denunciare i pericoli che il fiscal compact comporta per la crescita e le disuguaglianze. Diversamente da Berlusconi, che in campo economico si sta paradossalmente riposizionando su una linea socialdemocratica. A parole e fino al prossimo riposizionamento, si intende.

Perfino il capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard, ha riconosciuto, in un paper pubblicato la settimana scorsa insieme a Daniel Leigh nella serie del Fondo, che le previsioni sugli effetti dell’austerità si sono rivelate sostanzialmente sbagliate, e che il rigore ha causato, almeno nel breve periodo, un inasprimento della crisi (specie in termini di aumento della disoccupazione e calo della domanda interna) e delle difficoltà per la finanza pubblica.

Il mea culpa di Blanchard è un ulteriore supporto per le tesi di una schiera sempre più ampia di economisti che paragonano l’insistenza europea sul rigore a un suicidio di massa, in questa fase del ciclo (si dia un’occhiata per esempio al blog di Paul Krugman sul New York Times, o ai contributi di Joseph Stiglitz su Project Syndicate).

Come ha raccontato Howard Schneider sul Washington Post, alle accuse di aver sottovalutato intenzionalmente gli effetti dell’austerità per rendere le politiche restrittive più appetibili, esponenti del Fondo hanno reagito lamentando le pressioni effettuate da alcuni partner europei, in particolare la Germania.

Il centrosinistra deve trovare il coraggio di misurarsi con questi temi. Criticare costruttivamente le regole fiscali europee – che di certo non vuol dire minacciare l’uscita dall’euro – e proporre agli elettori, e all’Europa, una nuova agenda diversa da quella di Monti e di Merkel. In cui discutere per esempio regole fiscali che puntino anzitutto alla stabilizzazione del rapporto debito/Pil – anziché imporre il suo dimezzamento in “soli” venti anni – un coordinamento delle politiche di bilancio in direzione almeno temporaneamente opposta all’austerità, l’adozione di strumenti per un controllo più stretto dell’azione delle banche.  

Una proposta credibile di politica economica volta alla costruzione di un’Europa diversa consentirebbe al centrosinistra di disinnescare le pulsioni demagogiche berlusconiane (almeno quelle sull’euro) e di differenziarsi dall’agenda Monti. E magari chissà, anche di vincere le elezioni evitando il pareggio al Senato.