Le liste elettorali di ogni schieramento sono infarcite di mogli, sorelle, figli, figliastri, cognati, parenti e affini di ogni genere.
Infatti Gentile, come gli altri capifamiglia della politica, troverà troppo giacobino e per niente garantista ricordare che il noto moralista Enrico Berlinguer entrò in Parlamento a 46 anni, quando era già da un pezzo ai vertici del Pci. Il motivo era che gli appariva inopportuno farsi eleggere in una Camera dei deputati dove già sedeva suo padre, Mario, peraltro in un partito diverso dal suo.
Qui si parla di stile, tutt’al più di opportunità, e non di carichi pendenti o inchieste imbarazzanti. Ma in campagna elettorale non si parla neppure di queste sottigliezze. Figuriamoci dei veri e propri impresentabili.
Una sorta di equilibrio del terrore ha imposto ai partiti dell’ex strana maggioranza montiana un tacito accordo: nessuno scambio di accuse sulla questione morale, perché si sa come si comincia e non si sa dove si finisce. Come durante la Guerra fredda, quando gli arsenali atomici americani e sovietici si fronteggiavano ben sapendo entrambe le parti che a nessuno conveniva sparare il primo colpo.
Stiamo assistendo a un inizio di campagna elettorale incardinato su argomenti vellutati: quali alleanze per il dopo voto, chi è il più riformista del reame, quante riduzioni di tasse è lecito promettere. Quando proprio si decide di colpire duro partono i fendenti sull’Imu di ieri, oggi e domani. L’unico leader ad aver evocato la famosa ‘questione morale’ nelle ultime settimane è stato Mario Monti, che l’ha chiamata in causa per spiegare la sua decisione di buttarsi in politica dopo aver giurato per un anno che mai e poi mai: “Per me è una questione morale”.
Monti si è ben adeguato agli stilemi della politica nazionale. Per lui l’impresentabile del centrosinistra non è il capobastone di Enna, Mirello Crisafulli, che tanto imbarazzo sta creando al partito di Pier Luigi Bersani, bensì il mite economista Stefano Fassina, che non risulta dotato di sufficiente spirito riformista agli occhi un po’ choosy del prof. Ma Bersani sa che non solo Monti, ma neppure quelli del centrodestra avranno niente da dire sulle sue liste. La polemica sugli impresentabili finora l’ha sollevata solo un parlamentare del Pd, l’ex magistrato Felice Casson. I panni sporchi si lavano in casa.
Strano silenzio. Abbiamo passato un 2012 durante il quale, sullo sfondo delle larghe intese che sostenevano il governo Monti, si è dipanato il tonante scontro tra i partiti che si rinfacciavano le rispettive porcherie: lo scandalo della Lega, il caso Sesto S. Giovanni, la vicenda Lusi, la Regione Lazio con le imprese di Batman-Fiorito. Non se ne parla più, non si parla più di niente che abbia a che fare con l’etica. Da un certo punto di vista l’attenuazione dei toni polemici, vista la drammaticità dei problemi che il Paese dovrebbe cominciare a risolvere con le elezioni del 24 febbraio, può anche confortare.
Però non possiamo non chiederci la ragione di questi silenzi incrociati. Perché Bersani, leggendo i nomi impresentabili che incredibilmente si affollano nelle code per un seggio parlamentare sotto le insegne berlusconiane non rispolvera il tono battagliero di tre mesi fa? “Non siamo tutti uguali e al Pdl dico, non è che voi sguazzate nel fango e lo mettete nel ventilatore, noi di Batman non ne abbiamo”, diceva. E Fabrizio Cicchitto rispondeva per le rime: “Dice che sguazziamo nel fango e dimentica di aver convissuto a lungo, certamente con diversa intimità, con persone come Lusi e Penati”.
Adesso è proprio equilibrio del terrore. Il Pd si gratta la rogna Crisafulli in santa pace, perché non fiata sul Pdl in piena contorsione sulla candidatura in Campania del plurindagato per camorra Nicola Cosentino. E il Pdl non fiata sugli impresentabili del Pd perché sa di doverne propinare agli elettori molti di più.
E Monti, quello che vuole fare piazza pulita della vecchia politica, perché se la prende con Fassina, colpevole solo di schierarsi con i più deboli? Forse ha solo paura che gli avversari, se provocati, passino in rassegna le sue truppe, quelle tempre di innovatori e riformisti senza macchia e senza paura. Metti caso che qualcuno cominciasse a raccontare la vita imprenditoriale di Lorenzo Cesa o, Dio ne guardi, di Luca di Montezemolo. Ecco, allora tutti d’accordo: scanniamoci sull’Imu, è meglio.
Il Fatto Quotidiano, 11 Gennaio 2012