Tra i vincenti "paracadutati" da Roma, Micaela Fanelli, fortemente voluta da Renzi ed ex consulente finanziario del governatore Iorio (Pdl), e Stefania Covello, figlia dell'ex senatore Franco. Esclusi Enzo Ciconte e donne e uomini impegnati nella lotta contro la 'ndrangheta
Sono candidata in posizione eleggibile, finalmente il Molise avrà una sua voce anche al Parlamento”. È commossa la giovane Micaela Fanelli quando invia questo sms ai suoi sostenitori molisani. Ce l’ha fatta, finalmente, da via del Nazareno hanno dato l’ok al suo ingresso al Senato, da Isernia a Campobasso, da Venafro a Termoli possono dormire sonni tranquilli. Micaela, una di loro, è pronta a rappresentarli. Sì, ma con i voti dei calabresi.
Miracoli del Pd e dei candidati paracadutati, i nominati dalle segreterie nazionali, quelli che fanno strage di chi per anni si è battuto sui territori. La candidatura di Micaela Fanelli, sindaco di un piccolo paese del Molise, capogruppo dell’opposizione alla Provincia di Campobasso , un passato di superconsulente finanziario del governatore Michele Iorio (Pdl) (“ho vinto un regolare concorso”, ribatte), agita le acque del Pd calabrese. Il suo nome è comparso alle quattro del mattino di tre giorni fa sulla scrivania di Pier Luigi Bersani. La vuole Matteo Renzi, bisogna sistemarla a tutti i costi, ed ecco il miracolo. In quella posizione c’era Enzo Ciconte, calabrese doc, negli anni Ottanta deputato del Pci, autore di saggi importanti sulla ’ndrangheta. A caldeggiare la sua candidatura, diversi membri del vertice Pd. Ma Ciconte salta, al suo posto la superconsulente Fanelli. A farle buona compagnia nella lista capeggiata da Marco Minniti, il siciliano Angelo Argento, sconosciuto ai più ma non all’inner circle di Enrico Letta di cui è un fedelissimo.
Alla Camera Bersani ha imposto la numero uno dei paracadutati, Rosy Bindi (vincente alle primarie), subito dopo il salernitano Alfredo D’Attorre, ex fedelissimo del sindaco Vincenzo De Luca. Il giovane professore universitario era stato chiamato per mettere ordine nel Pd calabrese, scosso da scandali e libanizzato da gruppi di potere. D’Attorre ha scelto di non cambiare una virgola, guadagnandosi un seggio a Montecitorio. Nicola Adamo, il plurinquisito ex braccio destro di Agazio Loiero ai tempi della giunta regionale di centrosinistra, è sempre fuori dal partito, ma sua moglie Enza Bruno Bossio ha letteralmente trionfato alle primarie per la Camera. L’ex senatore Franco Covello, descritto come il “Kennedy della Calabria” all’epoca della Dc di Misasi, coinvolto in alcuni processi di tangentopoli e assolto, poi passato a Forza Italia guadagnandone alcuni incarichi di sottogoverno, infine approdato al Pd, ha pensato alla famiglia. Nell’inchiesta sulla cricca della Protezione civile vengono intercettate alcune telefonate tra Covello, nel frattempo diventato vicepresidente del Credito sportivo, Balducci e il costruttore Anemone. Le solite storie di case da acquistare a Roma a prezzi non certo da mercato.
Roba vecchia, dimenticata dai democrat, perché ora in Parlamento torna una Covello, Stefania, la figlia, al nono posto nella lista Pd. Cose calabresi, familismo amorale, sistemi di potere che hanno fatto piazza pulita della questione più grossa in Calabria: la lotta alla ‘ndrangheta. “Le liste sono una corsa all’immunità parlamentare. Le mafie di partito hanno impedito candidature della società civile” tuona sui blog Adriana Musella, presidente di Riferimenti, una delle associazioni antimafia più coccolate da tutti gli schieramenti politici. Ma a indignare i poveri elettori calabresi del Pd è l’esclusione delle donne sindaco dei comuni più esposti alle pressioni delle cosche. Maria Carmela Lanzetta di Monasterace, Elisabetta Tripodi di Rosarno, Carolina Girasole di Isola Capo Rizzuto. Tre icone dell’antimafia, tre donne a rischio che nessuno ha neppure preso in considerazione. Solo Mario Monti. Il professore, in vena di dispetti pesanti a Bersani, ha avviato contatti con la sindaca Girasole per una candidatura alla Camera e in posizione eleggibile. È un terremoto nel Pd, dall’Aspromonte a Catanzaro, la città capoluogo. Qui i dirigenti si sono sospesi in massa nell’attesa di un improbabile ripensamento di Bersani. “La verità – confessa un dirigente del Pd – è che i padroni del partito, i signori dei pacchetti elettorali, non potevano sopportare presenze spurie. Il sistema costruito da Scopelliti e dal Pdl sta franando, i gruppi di potere stanno già puntando le carte sul centrosinistra per il governo della Regione. Come ai tempi di Loiero”. È l’alternanza in salsa calabra.
da Il Fatto Quotidiano dell’11 gennaio 2013