Dopo l'esclusione del braccio destro di Renzi, Roberto Reggi, e lo sfogo di un altro renziano doc, Salvatore Vassallo, un manifesto su Facebook critico dell'uso della lista blindata post Parlamentarie firmato da due consiglieri comunali, un assessore provinciale e la presidente di un quartiere di Bologna
Una grana dietro l’altra. Il Partito democratico emiliano non ha pace dal 30 dicembre, il giorno delle parlamentarie che dovevano, col voto popolare, sancire in maniera serena chi sarebbe stato candidato. E invece del sereno è giunta la bufera. Prima l’esclusione di Roberto Reggi, numero due di Matteo Renzi durante le primarie: “Mi accusano di aver esagerato, di essere stato offensivo, di aver definito ‘scagnozzi’ alcuni bersaniani. Non mi volevano in lista. Insomma, colpirne uno per educarne cento”, aveva detto l’ex sindaco di Piacenza. Poi l’epicentro si è spostato a Bologna con lo sfogo del parlamentare uscente Salvatore Vassallo, anche lui vicinissimo al sindaco di Firenze ma “trombato” alle parlamentarie: “In un Pd così distante dal partito aperto e plurale che avevamo immaginato, così simile alla continuazione degradata di uno dei partiti che avevamo già visto, faccio davvero fatica a riconoscermi”. E così Vassallo ha lasciato tutte i suoi incarichi dirigenziali.
Infine nelle ultime ore ecco la pubblicazione di un manifesto contro i paracadutati da Roma, lanciato su Facebook con 25 firme di militanti, non solo renziani: “Non può sfuggire il fatto che, a fronte di un insieme di parlamentari uscenti, donne e uomini, che si è misurato col consenso dei cittadini il 30 dicembre, ve ne siano altri, in specifico l’onorevole Benamati e il senatore Sangalli, che, invece, hanno assunto una posizione critica rispetto al percorso stesso e oggi trovano posti ‘blindati’ all’interno delle liste”. Tra i firmatari anche due consiglieri comunali, un assessore provinciale e la presidente di un quartiere del capoluogo emiliano.
Il pomo della discordia è l’atterraggio’ nella lista Pd dei parlamentari uscenti Giancarlo Sangalli e Gianluca Benamati. Il primo aveva rifiutato le primarie, dicendo di essere pronto a tornare a Roma solo se Bersani glielo avesse chiesto, come successe nel 2008. E così è stato. Il secondo, vicino all’ala cattolica Pd di Beppe Fioroni, era quasi pronto a fare le parlamentarie per poi ritirarsi poco prima delle candidature temendo una sonora bocciatura che lo avrebbe anche escluso dal ripescaggio. E Benamati i conti li ha fatti bene. In questo modo infatti, sfuggendo al giudizio popolare, è potuto rientrare dalla finestra, con la nomina durante la Direzione nazionale Pd dei giorni scorsi. Benamati peraltro non sarà candidato nella sua Emilia, ma in Piemonte.
A Bologna è scoppiato il putiferio: “Quando il listino viene usato, come nel caso di alcuni parlamentari bolognesi, per premiare chi si è sottratto alle primarie, si sceglie di perpetuare una logica che ci allontana dal traguardo, che è ‘l’Italia giusta’ che Bersani e tutti noi del PD vogliamo”, si legge nel manifesto.
Ma non c’è solo il capoluogo. A Modena per esempio, città in cui il segretario Davide Baruffi ha presentato le sue dimissioni dopo avere subito, anche grazie all’esplosione di alcuni giovani, una batosta alle primarie, è rimasto irrisolto il caso terremoto. Dalla Direzione romana infatti non è arrivato nessun nome di sindaco o imprenditore che potesse farsi portavoce del cratere sismico, quello del 2 % del Pil nazionale. “Prendiamo atto”, hanno fatto sapere da Modena, “anche senza comprenderne appieno le ragioni”. E chissà se i malumori verranno sopiti.