Il procuratore generale nella sua requisitoria, che terminerà il 18 gennaio, ha accusato l'imputato di aver mediato con la criminalità organizzata facendo da garante per l'amico e di aver così anche "beneficiato" della vicinanza con Mangano e di questi "contatti" per avanzare nella sua carriera politica. Il 4 marzo è attesa la sentenza
“Oggi ci chiediamo: ma Marcello Dell’Utri è un capace uomo d’affari, un intellettuale raffinato o è quello che ci hanno descritto quaranta collaboratori di giustizia, un uomo che avrebbe riciclato denaro di Cosa nostra investendo tramite Silvio Berlusconi in Milano 2? O che avrebbe posto sotto protezione Berlusconi contro i sequestri, con una generica mediazione tra il mondo imprenditoriale di Berlusconi e gli interessi economici di Cosa nostra? Ci troviamo di fronte a una vittima di 20 di attività giudiziaria o ci troviamo di fronte a un uomo che nel male ha vissuto e che ha inquinato la vita imprenditoriale di questo paese rafforzando gli interessi di Cosa nostra?”. Inizia con una domanda retorica, considerato l’interlocutore, la requisitoria del procuratore generale Luigi Patronaggio davanti alla Corte di Appello di Palermo, presieduta da Raimondo Lo Forti per il processo di secondo grado al senatore tra i fondatori di Forza Italia e tra gli uomini più vicini al Cavaliere, che ancora ieri nella trasmissione “Servizio Pubblico” lo ha definito “perbenissimo”. Il processo a Dell’Utri, dopo l’annullamento della Cassazione con rinvio della condanna a 7 anni, è iniziato lo scorso luglio.
Secondo il pg gli attentati a Silvio Berlusconi e alla Standa negli anni Ottanta e Novanta si inseriscono “nell’ottica di un rapporto complesso tra i due. La tensione e le pressioni costanti su Berlusconi permettono a Dell’Utri di uscirne rafforzato sia nella sua posizione di garanzia nei confronti dell’amico, che nei confronti della mafia per la sua posizione di mediatore”. Sugli attentati all’imprenditore che è diventato un politico nel 1994 “i pentiti parlano di interventi ai massimi livelli mafiosi per fare cessare gli attentati, il nome che fanno è quello di Marcello Dell’Utri”. Il pg ha ricordato come, secondo i collaboratori di giustizia, della vicenda si interessarono anche i “palermitani” e in particolare Totò Riina “perché non si poteva fare uno sgarro a Dell’Utri”, che avrebbe pagato “tre milioni al mese di pizzo per la Standa”.
“La condotta di Marcello Dell’Utri non può limitarsi a un concorso a un’estorsione. Ma parliamo di due condotte che si esplicano attraverso la mediazione di un’estorsione da un lato e dall’altro attraverso la funzione di garanzia delle attività di Berlusconi protette e agevolate da Cosa nostra – ha continuato il magistrato – Dell’Utri ha agito per un fine personale ben preciso giovandosi anche della vicinanza con Vittorio Mangano. Dell’Utri, se non avesse avuto alle spalle la potenza di Cosa nostra avrebbe fatto all’interno di Fininvest la scalata che ha fatto? Da oscuro impiegato di banca sarebbe andato a capo di Publitalia? Senza questo ‘valore aggiunto’ di Cosa nostra l’imputato dove sarebbe arrivato? Che carriera politica poteva fare?”.
Nel corso del suo intervento, il Pg ha anche letto il capo d’imputazione di Dell’Utri nel procedimento per la trattativa Stato-mafia (ieri la Procura di Palermo ha ribadito la richiesta di rinvio a giudizio per undici imputati, ndr) ma il documento non è agli atti del processo e dunque i legali del senatore Giuseppe Di Peri e Pietro Federico hanno contestato la sua utilizzabilità. “Non è stato acquisito agli atti quindi è aria fritta”. La contestazione è stata quindi accolta dal Presidente della Corte d’appello Loforti. Il processo è stato rinviato al 18 gennaio per la conclusione della requisitoria, mentre la sentenza è attesa per il 4 marzo.