L’abbiamo già scritto, detto, ripetuto. Vale la pena insistere ancora, adesso poi che vanno di moda le “agende”. Siamo all’inizio dell’anno, dunque… Lo spreco alimentare è lo scandalo più silenzioso e invisibile del nostro tempo di crisi. In pochi ne parlano, in troppi non vedono gli alimenti ancora buoni chiusi nei bidoni della spazzatura. Eppure nel mondo si getta via tanto cibo ancora commestibile (1,3 milioni di tonnellate) da poter sfamare, se recuperato, tre volte le persone denutrite (900 milioni). Il che avviene mentre gli obesi aumentano costantemente. Mangiamo male, troppo poco o troppo, e il resto lo buttiamo via.
Gli alimenti si sprecano ovunque, nei paesi ricchi e in quelli poveri, in tutti i passaggi che portano il cibo dal campo alla tavola. Com’è possibile che in una crisi economica e sociale senza precedenti ci possiamo permettere di gettare via tanto da mangiare? È vero siamo quel che mangiamo ma anche – di questi tempi è tanto più vero – ciò che non mangiamo. Eppure una buona parte di ciò che di ancora buono da mangiare si getta via potrebbe essere recuperato o, meglio ancora, evitato.
Anche l’Italia fa la sua parte, in tutti gli anelli della filiera agroalimentate – produzione agricola, industria agroalimentare, distribuzione all’ingrosso e al dettaglio, ristorazione, consumo domestico – si perdono e sprecano alimenti. Una montagna di prodotti non utilizzati che letteralmente brucia risorse economiche ed ecologiche: percentuali di Pil, ettari di suolo, metri cubi di acqua, tonnellate equivalenti di anidride carbonica.
Prima della spending review avremmo bisogno di una seria wasting review. Ridurre gli sprechi di cibo significa infatti non sprecare le risorse naturali impiegate – suolo, acqua, energia – per produrre, trasformare, distribuire e poi smaltire provocando impatti negativi non solo dal punto di vista economico – per il paese, le imprese, i consumatori – ma anche dal punto di vista carbonico (emissione di CO2), idrico (consumo di acqua) ed energetico (consumo di energia, soprattutto da fonti non rinnovabili).
Combattere lo spreco alimentare e le sue conseguenze deve essere dunque una priorità economica ed ecologica oltre che sociale per la politica, le istituzioni, le amministrazioni locali, le imprese e la società civile. Si può già fare, da subito. Con piccole azioni e attenzioni, in una mobilitazione collettiva che parta da un impegno dei singoli e degli enti territoriali. Dobbiamo agire immediatamente per ridurre progressivamente gli sprechi mediante il controllo e la prevenzione di tutte le attività pubbliche e private che implichino la gestione di cibo, acqua, energia, rifiuti, mobilità, comunicazione. Ad esempio promuovere il recupero di cibo non consumato a fini sociali, semplificare le etichette alimentari, regolamentare le vendite scontate di alimenti in scadenza o danneggiati, informare i cittadini sulle cause e le conseguenze dello spreco con programmi di educazione alimentare, di ecologia domestica, promuovendo diete equilibrate e sostenibili.
L’obiettivo di lungo periodo deve essere quello di azzerare gli sprechi – lo abbiamo chiamato Spreco Zero – e risparmiare le risorse naturali che sono, lo sappiamo da tempo, limitate. Per stare, tutti, un po’ meglio. Serve a questo la Carta per una Rete di Amministrazioni a Spreco Zero, già sottoscritta da oltre 300 sindaci a partire dalla sua presentazione lo scorso settembre nell’ambito di Next, il Salone Europeo della Ricerca e dell’Innovazione di Trieste.
Chiediamo, chiedete ai vostri sindaci di sottoscrivere la Carta a Spreco Zero. Saremo un fiume di cittadini consapevoli e responsabili, milioni di gocce che faranno la differenza. Perché, come diceva il poeta Tonino Guerra, una goccia più una goccia non fa due gocce: ma una goccia più grande. Grande come l’Italia, grande come l’Europa.