Un anno fa s’incagliava sull’isola del Giglio la Costa Concordia, con gran fracasso, ignominia e perdita di vite incolpevoli. Spinta da futili motivi, la nave andava a spaccarsi sugli scogli in una porzione preziosa del mare italiano, dentro il Santuario Pelagos per i mammiferi marini, imbrattandolo e abbruttendolo. È passato un anno e la bruttura è ancora lì, chissà ancora per quanto. Quando la tireranno via speriamo non facciano peggio, modificando il fondale in modo irreversibile e inquinando il mare con rumore di certo non gradito né ai delfini e alle balenottere di casa, né alla preziosa, minacciatissima foca monaca che miracolosamente aveva fatto una timida ricomparsa da quelle parti.
Ha il sapore dello stupro quello che è successo un anno fa al Giglio, di un maltrattamento violento e fortemente offensivo del nostro ideale di bellezza naturale di cui sempre di più, ingabbiati come siamo nell’Antropocene, sentiamo il bisogno. Eppure, anche dopo che la Concordia sarà stata scrostata dagli scogli e trainata di sghimbescio dovunque verrà compiuta l’annichilazione di un rottame da dimenticare, il danno sarà stato rimediato solo nell’apparenza. Perché sbarazzarsi della Concordia potrebbe essere inteso – sarà inteso – come l’atto catartico con il quale abbiamo finalmente risolto i problemi del mare, quando invece non abbiamo risolto un bel niente, anzi. I problemi del mare non risiedono tanto nella disgrazia, quanto nella normalità.
Il mare è come una scultura, coperta da un telo perché non la si possa vedere prima dell’inaugurazione. Solo che il telo non viene mai tirato via, per cui non si può capire quanto sia bello quello che c’è sotto. Alcuni, pochissimi, riescono a intrufolarsi sotto il telo e rimangono stregati, ma la massa della gente non lo sa e dunque non gliene importa un fico. La gente guarda l’azzurra superficie del mare con barchette e nuvolette, una specie di gouache napoletana, e tanto basta – ma la superficie è solo un telo che nasconde il mare dagli occhi della gente, e lo allontana dal cuore. Il cuore pulsante del mare è la sua straordinaria biodiversità che però, ogni giorno che passa, diventa un po’ meno straordinaria per colpa delle nostre azioni e del nostro disinteresse; ma non è solo questo.
Il mare produce metà dell’ossigeno che ci tiene in vita quando respiriamo, e se non purificasse di continuo l’atmosfera dalla CO2 che vi immettiamo bruciando petrolio, saremmo già andati arrosto da un pezzo. Nell’assorbire CO2, tuttavia, le sue acque stanno diventando acide, e questo prima o poi farà morire i coralli e moltitudini di altri esseri legati al processo della calcificazione. La salute del mare è indissolubilmente legata alla nostra; ma non è solo questo.
Il mare è dimora di esseri in parte ancora mitici, favolosi e un po’ paurosi, il cui mistero è solo parzialmente intaccato dalla scienza. Del fascino e bellezza del mare abbiamo un bisogno fisico, tanto quanto ne abbiamo del suo ossigeno. Il mare è l’entità che con maggior forza connota il pianeta che ci ospita, che chiamiamo casa. Non è possibile pensare a un’umanità separata dal mare.
Dunque togliere il telo dalla scultura, inaugurare un amore universale per un mare che tutti apprezzino, sentano proprio e vogliano sano, è molto più importante dell’atto – peraltro urgentemente dovuto – di togliere la Concordia dal Giglio. Ma è anche molto più difficile. Ci riusciremo?