Undici anni dopo averlo cacciato dalla Rai per “uso criminoso del servizio pubblico” Silvio Berlusconi ha dovuto chiedere a Michele Santoro quel Servizio Pubblico di qualità e quantità che nessuna delle tv padronali e compiacenti poteva più garantirgli. Una legge del contrappasso che solo con l’abuso di maalox contro l’acidità provocata in alcuni dei quasi 9 milioni di spettatori si può gabellare per un favore reciproco. Quale scambio di cortesie può esserci, del resto, tra un autocrate miliardario che ha fatto di tutto per trasformare la libera informazione in una congrega di domestici proni e un giornalista congedato dalla Rai al vertice degli ascolti e degli introiti pubblicitari che ha avuto il coraggio civile di ricominciare da un proprio, difficile anno zero? 

È facile discettare su narcisismi e vittimismi dei due mattatori (nessuno è perfetto), dimenticando che mentre un narciso conduceva l’Italia al disastro in un turbinìo di miliardi e bunga bunga, l’altro narciso otteneva 10 euro e la fiducia di 100 mila persone guidato dalla folle idea di una tv senza padroni. Una traversata nel deserto che si è conclusa giovedì nel teatro 2 di Cinecittà dove B. ha cercato di guastare la rivincita di Santoro con la letterina becera contro Travaglio, riuscendo a fare uscire dai gangheri l’antico avversario che avrebbe voluto una più degna conclusione della storia. Che poi il cerchio magico a libro paga inneggi al Caimano per averne verificato l’esistenza in vita è comprensibile, visto lo stato di catalessi delle ultime apparizioni. Che, tuttavia, quel fare casino anche divertente tra una sedia spolverata e un ghigno abbia prodotto risultati politici, è tutto da dimostrare.

Il disgusto dei carpentieri di Lumezzane o dei padroncini veneti mostravano lo sfascio del blocco sociale berlusconiano. Arduo da recuperare quando quello che un dì fu l’amato leader non riusciva proprio a spiegare perché aveva votato l’odiata Imu che ora vorrebbe abolire. Ma se quasi 9 milioni di persone rimangono attaccate per ore è perché su quello schermo si ripeteva una vecchia commedia delle parti? O perché in fondo si stava celebrando il bilancio di una generazione? Che alcuni hanno trascorso, come ha detto Marco, buttando via vent’anni della storia di un paese. Mentre altri cercavano di conservare il rispetto per se stessi.

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Il Fatto Quotidiano, 12 gennaio 2012

 

 

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