The Master, buono o cattivo maestro? Pubblichiamo due pareri – pro e contro – sul film di Paul Thomas Anderson a firma Federico Pontiggia e Elisa Battistini.
Con The Master il 42enne Paul Thomas Anderson affoga le proprie capacità narrative in un film irrisolto, giustamente snobbato dagli Oscar. “Il film di Anderson è ben confezionato, ma quando provo a raggiungerlo le mie mani afferrano solo aria”; “The Master non amplia il percorso di Anderson e viola la regola principale delle storie padre-figlio, ovvero che il sottoposto cambierà il mentore”. Così il Pulitzer Roger Ebert, uno dei più importanti critici americani e Richard Corliss sul Time Magazine. Tra le pochissime voci che hanno messo in luce i difetti reali del film, sottendendo una domanda: se non fosse di P. T. Anderson, ne avremmo parlato tanto? Il merito e il limite vanno, ovviamente, a P. T. Anderson.
A differenza dei suoi migliori coetanei (Sofia Coppola e il suo ex marito Spike Jonze o l’omonimo Anderson, Wes), già al secondo film – Boogie Nights girato a soli 26 anni– il regista californiano sceglie la grande narrazione corale con la stoffa di chi vuole dimostrare che il cinema può essere ancora di ampio respiro, classico e filosofico. Anderson si ispira ad Altman e Kubrick, e sembra rivendicare che la sua non è condannata a essere una generazione minore, pop e innocua. Vince l’Orso d’Oro con Magnolia a 29 anni: il marchio del genio lo attende e con lui la speranza – dei cinefili – che la madre di Orson Welles sia sempre incinta. Al quinto titolo, Il petroliere, affronta una parabola sullo spirito del capitalismo americano. È imperfetto, ma i personaggi e i loro conflitti sono definiti e feroci, il film potentissimo.
Dopo cotanto curriculum, era il momento del capolavoro assoluto. E invece no. Ispirato alla fondazione di Scientology e a Ron Hubbard, circondato anche per questo da un pruriginoso interesse, The Master è la storia di una setta nell’America degli anni ’50. La vicenda ruota attorno a Dodd, il guru della “Causa” interpretato da P. S. Hoffman e al suo adepto impossibile da redimere, Joaquin Phoenix. La parte più interessante sono i primi 20 minuti, dove vediamo l’ex soldato Phoenix fallire nel ritorno alla società dopo la Seconda guerra mondiale. Ribelle senza causa come James Dean e Marlon Brando, Phoenix entra casualmente in contatto con la setta. E da qui lo spettatore attende invano l’inizio del film. Nelle restanti due ore, il regista infila tutto quello che lo ha, presumibilmente, portato a girare (intuizioni, idee, spunti) lasciando andare alla deriva ogni cosa. L’America post-bellica resta elemento decorativo; le ipocrisie della setta sono relegate ad alcune scene emblematiche (brutte, come quella delle donne nude alla prolusione di Dodd); i seguaci sono fantocci, al massimo deputati a fare una domanda per scatenare l’ira del maestro perché al regista serve farci capire che è tutta una farsa. Ma, come suggerisce Corliss, naufraga il vero elemento drammatico: il conflitto tra i due personaggi maschili.
Da una parte la nuova verità rivelata della Causa, dall’altra la disillusione. Da una parte un potente condannato a recitare la propria parte, dall’altra lo scettico che non crederà mai e perciò resterà libero. Le scene mettono in fila, senza crescendo e dinamismo, attrazione e rispecchiamento, seduzione e rifiuto, ma quella tra i due è una relazione svagata che non si concentra su nulla. Personaggi in cerca di trama, restano figurine concettuali che non hanno la stazza per portare il peso del simbolo, tanto meno quello delle persone reali. Il risultato è che ci sono gli elementi ma manca il film.
The Master non è né una grande storia americana, né la piccola storia di uno sbandato, né un affresco sulla psiche e il potere. Indeciso su cosa essere, non è nulla. Paradossalmente, è soprattutto la critica a non voler accettare che una delle poche promesse dell’opaco firmamento cinematografico abbia disatteso le aspettative. Forse sarà il box office (uscito negli Usa a settembre, sta incassando in tutto il mondo meno della metà del budget da oltre 30 milioni di dollari) a suonar l’allarme. Non per forza sarà un male.
Il Fatto Quotidiano, 12 Gennaio 2013
Elisa Battistini
Giornalista
Cultura - 12 Gennaio 2013
The Master: capolavoro annunciato che ha smarrito se stesso
The Master, buono o cattivo maestro? Pubblichiamo due pareri – pro e contro – sul film di Paul Thomas Anderson a firma Federico Pontiggia e Elisa Battistini.
Con The Master il 42enne Paul Thomas Anderson affoga le proprie capacità narrative in un film irrisolto, giustamente snobbato dagli Oscar. “Il film di Anderson è ben confezionato, ma quando provo a raggiungerlo le mie mani afferrano solo aria”; “The Master non amplia il percorso di Anderson e viola la regola principale delle storie padre-figlio, ovvero che il sottoposto cambierà il mentore”. Così il Pulitzer Roger Ebert, uno dei più importanti critici americani e Richard Corliss sul Time Magazine. Tra le pochissime voci che hanno messo in luce i difetti reali del film, sottendendo una domanda: se non fosse di P. T. Anderson, ne avremmo parlato tanto? Il merito e il limite vanno, ovviamente, a P. T. Anderson.
A differenza dei suoi migliori coetanei (Sofia Coppola e il suo ex marito Spike Jonze o l’omonimo Anderson, Wes), già al secondo film – Boogie Nights girato a soli 26 anni– il regista californiano sceglie la grande narrazione corale con la stoffa di chi vuole dimostrare che il cinema può essere ancora di ampio respiro, classico e filosofico. Anderson si ispira ad Altman e Kubrick, e sembra rivendicare che la sua non è condannata a essere una generazione minore, pop e innocua. Vince l’Orso d’Oro con Magnolia a 29 anni: il marchio del genio lo attende e con lui la speranza – dei cinefili – che la madre di Orson Welles sia sempre incinta. Al quinto titolo, Il petroliere, affronta una parabola sullo spirito del capitalismo americano. È imperfetto, ma i personaggi e i loro conflitti sono definiti e feroci, il film potentissimo.
Dopo cotanto curriculum, era il momento del capolavoro assoluto. E invece no. Ispirato alla fondazione di Scientology e a Ron Hubbard, circondato anche per questo da un pruriginoso interesse, The Master è la storia di una setta nell’America degli anni ’50. La vicenda ruota attorno a Dodd, il guru della “Causa” interpretato da P. S. Hoffman e al suo adepto impossibile da redimere, Joaquin Phoenix. La parte più interessante sono i primi 20 minuti, dove vediamo l’ex soldato Phoenix fallire nel ritorno alla società dopo la Seconda guerra mondiale. Ribelle senza causa come James Dean e Marlon Brando, Phoenix entra casualmente in contatto con la setta. E da qui lo spettatore attende invano l’inizio del film. Nelle restanti due ore, il regista infila tutto quello che lo ha, presumibilmente, portato a girare (intuizioni, idee, spunti) lasciando andare alla deriva ogni cosa. L’America post-bellica resta elemento decorativo; le ipocrisie della setta sono relegate ad alcune scene emblematiche (brutte, come quella delle donne nude alla prolusione di Dodd); i seguaci sono fantocci, al massimo deputati a fare una domanda per scatenare l’ira del maestro perché al regista serve farci capire che è tutta una farsa. Ma, come suggerisce Corliss, naufraga il vero elemento drammatico: il conflitto tra i due personaggi maschili.
Da una parte la nuova verità rivelata della Causa, dall’altra la disillusione. Da una parte un potente condannato a recitare la propria parte, dall’altra lo scettico che non crederà mai e perciò resterà libero. Le scene mettono in fila, senza crescendo e dinamismo, attrazione e rispecchiamento, seduzione e rifiuto, ma quella tra i due è una relazione svagata che non si concentra su nulla. Personaggi in cerca di trama, restano figurine concettuali che non hanno la stazza per portare il peso del simbolo, tanto meno quello delle persone reali. Il risultato è che ci sono gli elementi ma manca il film.
The Master non è né una grande storia americana, né la piccola storia di uno sbandato, né un affresco sulla psiche e il potere. Indeciso su cosa essere, non è nulla. Paradossalmente, è soprattutto la critica a non voler accettare che una delle poche promesse dell’opaco firmamento cinematografico abbia disatteso le aspettative. Forse sarà il box office (uscito negli Usa a settembre, sta incassando in tutto il mondo meno della metà del budget da oltre 30 milioni di dollari) a suonar l’allarme. Non per forza sarà un male.
Il Fatto Quotidiano, 12 Gennaio 2013
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Caltanissetta, 18 mar. (Adnkronos) - Il collaboratore di giustizia Pietro Riggio, ex agente di Polizia penitenziaria, avrebbe avuto dei contatti con un uomo della Cia, che avrebbe fatto da "garante" per "i progetti" della criminalità organizzata. A rivelarlo è lo stesso Riggio, proseguendo la sua deposizione al processo a carico di due generali dei Carabinieri, due ex investigatori antimafia, Angiolo Pellegrini e Alberto Tersigni, accusati di depistaggio. Per la Procura di Caltanissetta, rappresentata in aula dal pm Pasquale Pacifico, i due ufficiali oggi in pensione, avrebbero depistato le indagini per riscontrare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pietro Riggio. I due, in particolare, avrebbero intralciato, secondo l’accusa, il lavoro dei pubblici ministeri, che stavano cercando riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia nisseno Pietro Riggio sulla strage di Capaci. Alla sbarra anche l’ex poliziotto Giovanni Peluso, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. Tersigni, 63 anni e l’82enne Pellegrini hanno lavorato a lungo per la Dia. Pellegrini è stato anche uno storico collaboratore del giudice Giovanni Falcone.
Alla domanda del Procuratore aggiunto Pacifico se ha mai conosciuto "un soggetto di nome Roger D'Onofrio?", Riggio ha risposto: "Sì. Mi è stato presentato da Giuseppe Porto", un detenuto che il collaboratore ha conosciuto in carcere. "In una occasione - racconta Riggio - andai a Benevento presso lo studio dell'ingegnere Antonio D'Onofrio. Roger D'Onofrio era anziano, ultrasettantenne. Porto disse che era il nostro 'garante' per tutte le operazioni che dovevamo fare. Era un appartenente ai servizi segreti americani in Italia, era della Cia. Mi fu detto da Porto".
E poi Pietro Riggio aggiunge: "Stavamo progettando la realizzazione di un pastificio per dare una parvenza legale e giustificare i movimenti di Porto e altri soggetti in territorio di Caltanissetta". A quel punto, il pm Pacifico ha chiesto il riconoscimento fotografico di D'Onofrio a Riggio. E gli mostra un album fotografico. "Sì, D'Onofio è al numero 10", dice Riggio.
Roger d'Onofrio era un agente della Cia. Italiano di origini, nel 1983 D'Onofrio era stato coinvolto in un traffico d’armi verso il Medio Oriente. Lo 'spione' degli americani il 2 dicembre 1995 venne arrestato. L’ipotesi era che avesse svolto un ruolo nel commercio di armi dalla Croazia, fatte arrivare in Italia via Albania.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "La risoluzione del Pd, frutto di un lavoro condiviso positivo, contiene un messaggio chiaro, l'invito a rafforzare il percorso di costruzione dell'autonomia strategica dell'Europa". Lo ha detto Piero De Luca, deputato e capogruppo del Pd in commissione politiche europee, a margine della riunione dei gruppi congiunti dem sulla risoluzione Ue.
"Ribadiamo la linea chiara sulla politica estera con il pieno sostegno all'Ucraina e il rilancio di un'azione diplomatica di pace che veda protagonista l'Europa. Condanniamo la guerra commerciale dei dazi invitando ad evitare illusorie scorciatoie bilaterali, ed chiediamo al governo di avviare il percorso per raddoppiare le risorse del prossimo bilancio pluriennale europeo, così come di lavorare a nuovi investimenti con debito comune, sulla scia del Next Generation per rilanciare la competitività e difendere il nostro modello sociale di welfare".
"Abbiamo poi rivolto al Governo l'invito a promuovere investimenti congiunti necessari per realizzare l’autonomia strategica nella sicurezza comune, a coordinare le capacità industriali, a rafforzare l'interoperabilità dei sistemi difesa, verso un esercito comune. In tal senso, è importante lavorare nel corso del negoziato sul Libro bianco per cambiare gli elementi di criticità del Piano di riarmo, per condizionare tutte le spese, gli strumenti e gli investimenti alla pianificazione, allo sviluppo, all’acquisizione e alla gestione di capacità comuni per evitare riarmi nazionali privi di coordinamento, ma ponendo invece le basi per la costruzione di una vera e propria difesa europea".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Rafforzare le nostre capacità di difesa significa occuparsi di molte più cose rispetto al potenziamento degli arsenali". Occorre quindi un approccio a 360 gradi, perché "senza difesa non c'è sicurezza, senza sicurezza non c'è libertà". Lo ha affermato il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nelle comunicazioni al Senato in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "L'invio di truppe italiane in Ucraina non è mai stato all'ordine del giorno così come riteniamo che l'invio di truppe europee proposto da Francia e Regno Unito sia un'opzione molto complessa, rischiosa e poco efficace". Lo ha affermato il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nelle comunicazioni al Senato in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - Poste Italiane amplia la diffusione del servizio di richiesta e rinnovo del passaporto negli uffici postali, che da oggi è attivo anche in 12 uffici di Milano, 12 di Napoli, 3 di Bergamo e in 4 comuni della provincia di Firenze. Milano, Napoli e Bergamo si aggiungono quindi a Roma, Bologna, Verona, Cagliari, Aosta, Catanzaro, Perugia, Venezia, Matera, Modena, Monza e Brianza, Reggio Calabria, Reggio Emilia, Sassari, Treviso e Vicenza dove il servizio è disponibile già da alcuni mesi. Il servizio, si legge in una nota, è stato esteso inoltre in 88 uffici postali nei Comuni della provincia di Milano, in 42 della provincia di Napoli e in 121 della provincia di Bergamo: tutti inclusi nel progetto Polis di Poste Italiane, l’iniziativa rivolta ai 6.933 Comuni al di sotto di 15 mila abitanti che permette ai cittadini l’accesso digitale ai servizi della pubblica amministrazione direttamente dagli uffici postali. In totale, sono circa 14 mila le richieste di passaporto presentate nei 388 uffici postali abilitati delle grandi città in cui è disponibile il servizio. Ad esse si aggiungono le circa 25 mila richieste presentate nei 2.052 uffici postali dei Comuni inclusi nel progetto Polis
Ottenere il rilascio o il rinnovo del passaporto è un’operazione estremamente semplice. Grazie alla Convenzione firmata tra Poste italiane, Ministero dell’Interno e Ministero delle imprese e del made in Italy, infatti, agli interessati basterà consegnare all’operatore del più vicino ufficio postale del proprio Comune un documento di identità valido, il codice fiscale, due fotografie, pagare in ufficio il bollettino per il passaporto ordinario della somma di 42,50 euro e una marca da bollo da 73,50 euro. In caso di rinnovo bisognerà consegnare anche il vecchio passaporto o la copia della denuncia di smarrimento o furto del vecchio documento. Grazie alla piattaforma tecnologica in dotazione agli uffici postali abilitati, sarà lo stesso operatore a raccogliere le informazioni e i dati biometrici del cittadino (impronte digitali e foto) inviando poi la documentazione all’ufficio di Polizia di riferimento.
Per richiedere il rilascio del passaporto negli uffici postali delle grandi città è necessaria la prenotazione che si può fare registrandosi al sito di Poste Italiane. Il nuovo passaporto potrà essere consegnato da Poste Italiane direttamente a domicilio. Negli uffici postali Polis è possibile ritirare certificati anagrafici e di stato civile, certificati previdenziali, certificati per le pratiche di volontaria giurisdizione. Ad oggi sono stati erogati già 55 mila documenti. I nuovi servizi sono forniti dagli uffici postali allo sportello, nelle sale dedicate o tramite totem digitali che permetteranno al cittadino di eseguire le richieste in modalità self.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - Sulla questione immigrazione "non dimentico il nostro impegno sulle soluzione innovative, come tra tutte, in prima battuta, il protocollo Italia-Albania che il Governo è determinato a portare avanti, anche alla luce dell'interesse e del sostegno mostrato da sempre più nazioni europee. Penso sia chiaro a tutti che se nella nuova proposta di Regolamento si propone di creare centri per i rimpatrii in Paesi terzi è grazie al coraggio dell'Italia, che anche su questo ha fatto da apripista". Lo ha affermato il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nelle comunicazioni al Senato in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "La mediazione trovata nel Pd dimostra che non occorre alcun congresso: se i democratici discutono e si confrontano tra loro, si trova la sintesi migliore". Così la deputata Paola De Micheli a margine del dibattito nell’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari Pd sul Rearm e il conseguente voto a Senato e Camera.
"Questa posizione unitaria del Pd ci rimette dentro la discussione in corso in Europa sulla difesa e sull’integrazione europea, dibattito in cui il Partito democratico deve stare e ha il compito storico di indirizzarlo, in quanto delegazione più numerosa del Partito socialista europeo. E il Pd ha anche il compito di tenere la barra dritta sulla necessità di un’Europa unita e forte e di una difesa comune europea perché, come sottolineato oggi dalla segretaria Schlein, le destre assecondano le spinte nazionaliste che sempre hanno portato verso i conflitti e non verso la pace. In questo momento il governo Meloni è senza direzione, diviso sull’Europa e incapace di essere credibile nel cuore della politica continentale”.