Il voto all’estero non mancherà anche quest’anno di suscitare inchieste, polemiche ed accuse di brogli. Dalla sua prima istituzione infatti, nulla è cambiato per quanto attiene le modalità molto discutibili.
Ad ogni tornata elettorale, ma solo dopo i risultati, tutti a sbraitare: bisogna cambiare le regole, così non va, non c’è trasparenza, è troppo manipolabile. Alla fine però registriamo un assoluto “tutto come prima, nessuno cambi le regole!”. Sì certo, ci sono state interrogazioni, proposte, mozioni e quant’altro di edulcorato si possa immaginare nel pianeta Montecitorio, ma alla fine: niente, si vota come prima. Insomma gli eletti hanno attuato il solito schema che ha funzionato alla grande su altri più importanti temi quali il taglio dei parlamentari, la diminuzione dei costi della politica, l’abolizione dei vitalizi. Una grande “ammuina” per lasciare alla fine tutto com’era.
E sì, perché il sistema ormai è collaudato e permeabile ad una infinità di brogli. Perché cambiarlo, allora? Certo, a Castelnuovo di Porto, nelle urne sono state trovate migliaia di schede chiaramente votate dalla stessa persona, schede di una colorazione palesemente differente da quelle ufficiali, ma è anche stato sancito che non si può procedere su reati commessi in territorio estero.
Infatti l’unica soluzione per evitare molti brogli sarebbe quella di votare o di consegnare a mano i plichi elettorali, in consolato direttamente. Così l’azione di voto sarebbe ancorata alla territorialità giuridica italiana. Ma niente. E che dire della possibilità di effettuare controlli random a posteriori da parte del Ministero degli esteri, per verificare se effettivamente quell’elettore ha votato o ha votato per lui qualcun altro? Un feedback per garantire la legalità. Un controllo a caso per levarsi i dubbi. Niente. Si poteva procedere anche a prevedere un controllo sulle candidature per assicurarsi la reale residenza all’estero e non il trasferimento farlocco all’estero, per intenderci. Niente, anche su questo campo.
Infatti non mi meraviglierei di una elezione di Briatore nel collegio estero. Dal Kenia con amore per un’Italia da sogno, con l’imprenditore da sogno al top. E vai! Al Senato tutto dipenderà da pochi voti, forse anche da un voto come accadde nel 2006. Quindi c’è da aspettarsi di tutto. Nonostante ciò in tutta la legislatura nessuno ha mosso un dito sulle falle della legge sul voto all’estero che permette violazioni a go go. Eppure per adeguare Imu e Tares, cioè per far pagare le tasse agli emigrati italiani la velocità burocratica è stata fenomenale, così come quella necessaria a tagliare tutti i fondi che garantivano la lingua e cultura italiana ai figli dei connazionali. Ma si sa, “volere è potere” e gli eletti all’estero in questi anni hanno dimostrato di essere scarsi sui due verbi.
di Massimo Pillera