A sette mesi dal caso greco, la storia si ripete. E dalla Germania arriva l'ultimatum, questa volta per la terzultima economia europea che terrà le elezioni il 17 febbraio: prima votate (come diciamo noi) e poi (forse) arriveranno i soldi
O fate come diciamo noi o i soldi non arrivano. Che poi tradotto significa: “O eleggete il candidato che ci va bene, oppure le cose si mettono male”. A sette mesi dalle ultime elezioni in Grecia la storia si ripete e la Germania conferma le proprie intenzioni. Questa volta però parliamo di Cipro, del piano di salvataggio che la terzultima economia europea ha chiesto nel giugno scorso e delle elezioni che devono tenersi, il 17 febbraio. Ma lo schema resta lo stesso: prima votate, possibilmente come vogliamo noi, poi per i soldi si vedrà.
A chiarirlo, l’11 gennaio, proprio a Cipro, è stata Angela Merkel, volata nella città di Limassol con lo stato maggiore del Ppe per discutere del budget europeo e tirare la volata al candidato conservatore alle elezioni, Nicos Anastasiades. Una riunione a cui hanno partecipato i leader conservatori di mezza Europa (specie quella del Nord). La Merkel ha spiegato a tutti i delegati che del piano di salvataggio dell’economia cipriota, travolta da una pesante crisi bancaria, non si parlerà prima di marzo. E che Cipro non avrà “un trattamento di favore”.
Che nell’Europa della crisi uno o più Paesi si interessino direttamente alle questioni politiche interne di uno degli altri membri, e magari direttamente alle elezioni, ormai non stupisce più nessuno. Il caso greco fu eclatante: allora Angela Merkel e tre quarti della classe politica europea invitarono direttamente i greci ad andare a votare un candidato piuttosto che un altro, agitando all’orizzonte lo spettro della bancarotta. Lo scenario ora, anche se in piccolo, sembra ripetersi.
Secondo le indiscrezioni e i calcoli fatti dagli analisti il piano di salvataggio di cui Cipro ha bisogno – che fino al 2011 aveva un rapporto debito-pil intorno al 72% e ora sta schizzando, invece, oltre il 100% – potrebbe ammontare a 17,5 miliardi di euro, tra rimborso dei debiti in scadenza, aiuti alle finanze pubbliche e soldi alle banche. Banche che hanno ricevuto un contraccolpo notevole dalla crisi greca e che solo nel cosiddetto Psi, il taglio del debito ellenico, hanno perso almeno 4 miliardi di euro. Ma si tratta di un piano che per il momento è bloccato.
L’economia cipriota è piccola, un’inezia addirittura rispetto a quella già leggera di Atene, ma preoccupa i governanti europei. Il presidente dell’eurogruppo Juncker (anche lui conservatore) lo aveva spiegato poco prima di Natale e, l’11 gennaio, lo ha ribadito. Aggiungendo che un taglio del debito sul modello di quello greco, per Cipro non ci sarà.
In un recente articolo dal titolo “Why Cyprus is important”, Marc Chandler, stimato capo analista di Brown Brothers Harriman a New York, spiega che “Cipro è piccola e pochi investitori internazionali sono esposti nei suoi confronti. Tuttavia la sua importanza travalica le sue dimensioni”. Perché? Perché, scrive l’analista, l’esatto ammontare dei soldi di cui Cipro potrebbe aver bisogno non è chiaro, perché i tedeschi sono convinti che le banche cipriote siano state usate in maniera massiccia per riciclare denaro, specialmente quello russo. E perché nella Zonaeuro e tra la Zonaeuro e il Fondo monetario ci sono forti frizioni sul come e quando intervenire. Difficoltà sintetizzate dal fatto che il presidente cipriota uscente, il comunista Christofias, sarebbe già andato dagli uomini dell’Fmi a chiedere assistenza in maniera “separata”.
Riciclaggio e denaro russo, quindi. Non un tema secondario, specie per i tedeschi: secondo dati ottenuti dai servizi segreti di Berlino, e pubblicati dalla stampa tedesca a novembre le banche cipriote avrebbero in pancia qualcosa come 20 miliardi di euro di depositi provenienti da poco chiari investitori russi. Cipro naturalmente nega tutto, ma il dato resta. E d’altra parte basta andare a farsi un giro proprio a Limassol, dove c’è la più grande comunità russa dell’isola, forte di 10mila persone e che può vantare una stazione radio in russo, giornali in russo, scuole russe, cartelli stradali in cirillico, per farsi venire qualche sospetto.
Da qui la contrarietà tedesca ad andare a inettare nel settore bancario soldi che andrebbero a beneficio degli investitori moscoviti. Quindi come se ne esce? Secondo Nicholas Spiro, della casa Londinese spiro sovereign strategy, che ne ha parlato con Bloomberg, una delle soluzioni potrebbe essere un “piccolo Psi”, ovvero un piccolo taglio del debito a partecipazione volontaria, “un taglio che i leader dell’Eurozona spererebbero di far passare magari un po’ sotto silenzio”. Di certo bisognerà aspettare le elezioni per vedere cosa succederà. A Berlino hanno già deciso su che cavallo puntare.