Renato, 27 anni, laurea alla Bocconi, da sempre in corsia preferenziale nell'azienda di Maranello di cui era già business development manager. Il padre Luigi invece è alle prese con le disavventure giudiziarie, per ultimo il patteggiamento a 19 mesi per l'inchiesta sulla P4
Le colpe dei padri non devono ricadere sui figli. E infatti non accade a Renato Bisignani, figlio di Luigi, da oggi responsabile della comunicazione attività sportive della casa automobilistica Ferrari. Per il papà Luigi, invece, le ultime disavventure giudiziarie annoverano un patteggiamento a 19 mesi per l’inchiesta sulla P4 e più recentemente (era la fine d novembre 2012), il ricorso contro la condanna è stato respinto dalla sesta sezione della corte di Cassazione e la sentenza è diventata così esecutiva. Ma il rampollo del giornalista che fu all’Ansa e ancor prima capo dell’ufficio stampa del ministro del Tesoro Gaetano Stammati procede nella sua carriera.
Nato a Roma 27 anni fa, le scuole superiori frequentate nella capitale andando alla Marymount International School e una laurea in economia internazionale alla Bocconi di Milano, Bisignani junior vanta nonostante la giovanissima età una carriera tutta nel mondo dei motori. Prima ha lavorato nel settore commerciale del team di Formula 1 della Renault e poi, nel 2010, entra nella casa di Maranello come business development manager prendendo il posto di Luca Colajanni, che da 9 anni occupava quel ruolo e che è considerato uno storico collaboratore di Luca Cordero di Montezemolo. Infine ecco che approda alla veste di responsabile della comunicazione attività sportive del Cavallino Rampante assumendo la veste di capo ufficio stampa.
Frequentatore dei salotti più esclusivi della Roma bene, oltre che di quella blasonata, il giovane manager non ha avuto guai con la giustizia. L’unica volta che il suo nome viene fuori è un’intercettazione datata 12 settembre 2010 quando Luigi Bisignani gli telefona e nel corso della conversazione vengono formulati giudizio poco lusinghieri sui costumi personali dell’allora ministro del Turismo, Maria Vittoria Brambilla. Ma non è per il contenuto irriverente della telefonata che l’ex giornalista viene condannato.
Lo sono le accuse di favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio che gli hanno mosso i pm di Napoli Henry John Woodcock e Francesco Curcio e a cui è seguita la condanna inflitta dal giudice partenopeo Maurizio Conte in fase di udienza preliminare. Nel frattempo un altro gip, Luigi Giordano, aveva firmato l’ordinanza che revocava, sempre la vicenda P4, gli arresti domiciliari in base a due elementi. Da un lato c’era la richiesta di patteggiamento e dall’altra l’avvio l’8 novembre scorso del processo ad Alfonso Papa, il parlamentare del Pdl che, con l’avvio dell’indagine napoletana, si era autosospeso dai suoi incarichi istituzionali.
Luigi Bisignani, risultato negli elenchi della P2 ritrovati il 17 marzo 1981 a Castiglion Fibocchi in possesso di Licio Gelli, commentò in questo modo l’inserimento del suo nome in quella lista: “Seguo da tempo per l’Ansa le notizie sulla massoneria e conosco, pertanto, molti alti elementi della massoneria, compreso Licio Gelli. I quali abitualmente mi fanno avere i loro comunicati in redazione. Smentisco però categoricamente la mia appartenenza a qualsiasi loggia massonica, compresa ovviamente la P2. Faccio notare che non avrei neppure l’età per l’iscrizione alla P2 che sarebbe di 30 anni come ho scoperto leggendo il libro ‘I massoni d’Italia’ edito dall’Espresso”.
Superata la bufera della P2 e interrotto il suo rapporto con l’Ansa, Bisignani passa nel 1992 al Gruppo Ferruzzi, ma appena dopo arriva un nuovo guai giudiziario: l’inchiesta Enimont e un’accusa per violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti. Bisignani viene arrestato e condannato in via definitiva a 2 anni e 6 mesi mentre appena dopo giunge anche la radiazione all’albo dei giornalisti. Ricomparso nelle cronache giudiziarie ai tempi dell’indagine Why Not di Luigi De Magistris, allora pubblico ministero e oggi sindaco di Napoli, giunge infine in ciclone P4, secondo le ipotesi degli inquirenti un potente gruppo d’affari che operava all’interno della pubblica amministrazione e della giustizia.