La contemporaneità si presenta come l’epoca “di ghiaccio” per eccellenza – l’espressione lungimirante è di Tocqueville – ossia l’epoca in cui l’omogeneizzazione è ormai giunta al culmine, è diventata un “destino”, come commenta con finezza Adorno nel capitolo della Filosofia della musica moderna dedicato a Schoenberg. L’ideale dell’eguaglianza e il conseguente processo mimetico hanno prodotto quella massificazione estrema che è sotto gli occhi di tutti. Ma l’omogeneità è solo uno dei due volti dell’epoca di ghiaccio, il suo contraltare sta infatti nell’esasperazione dell’ideale economicistico insito nella globalizzazione e che produce, insieme alla massificazione, diseguaglianze reali sempre più marcate.
Diseguaglianze che si verificano in ogni ambito della società e che sono altrettanto palesi anche nel mondo apparentemente ‘dorato’ del calcio. Un giornalista molto competente del settore, Mario Sconcerti, ha pubblicato di recente un volume dal titolo provocatorio, Il calcio dei ricchi. Si potrà più vincere senza spendere un tesoro? (Baldini & Castoldi, Dalai Editore, Milano 2012), con una trasparente allusione alle differenze abissali che separano alcune squadre europee da tutte le altre. Un libro che segnala un problema reale e che merita un’attenta riflessione, almeno in alcune sezioni, mentre in altre, in particolare nella IV, La guerra Juve-Inter e lo scudetto sbagliato, rappresenta l’espressione della communis opinion media dell’epoca di ghiaccio, facendo emergere una difficoltà ‘concettuale’ a capire fino in fondo che cosa sia l’etica.
Non entro nel merito di quest’ultimo aspetto, a cui ho già dedicato un post specifico, e, invece, approfondisco il problema delle diseguaglianze; se si comparano tutti i campionati europei degli ultimi dieci anni, queste differenze diventano veramente macroscopiche con una accentuazione negli ultimi tre anni, che hanno dimostrato in maniera inequivoca il sostanziale fallimento del progetto riassumibile nella formula ‘Fair Play Finanziario’, seguito con assoluta fedeltà solo dalle protagoniste del calcio italiano e disatteso, se non addirittura violato, invece, in maniera flagrante, dalle altre squadre europee e, in particolare, dal Paris Saint-Germain. Il significato centrale del Fair Play Finanziario viene prospettato da Michel Platini, presidente dell’Uefa, nei termini seguenti: “l’essenza del gioco deve rimanere immutata, nonostante il calcio sia sempre più dominato da interessi economici e commerciali…Con l’introduzione del Fair Play Finanziario diminuirà la differenza tra grandi e piccoli club. Questo contribuirà sicuramente a rendere più avvincenti e incerti alcuni campionati che si giocano sempre e soltanto fra due o tre squadre”. Nobilissime parole, peccato che a pronunziarle sia proprio un esponente del calcio francese, ossia della stessa nazionalità della squadra, il Paris Saint Germain, che ha ridicolizzato sostanzialmente le premesse stesse del progetto. Del resto, in un mondo sempre più dominato dalle oligarchie finanziarie e da diseguaglianze sempre più profonde, cominciare una regolamentazione, partendo proprio dal calcio, risulta scarsamente credibile oltre che inapplicabile.
A mancare, nel calcio, come in tutti gli ambiti della società, è la restaurazione del primato dell’etica, quello che dovrebbe essere l’unico discrimine – di ogni governo, del sistema economico e di quello calcistico. Altrimenti tutte le altre iniziative velleitarie come quella del Fair Play Finanziario, limitandosi a sancire una razionalizzazione delle differenze già acquisite, non approderanno a nulla.