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Adozioni gay, Jodie Foster e la responsabilità civica

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Due immagini possono essere accostate della giornata del 13 gennaio: la manifestazione francese contro i matrimoni civili per le coppie dello stesso sesso e il discorso di Jodie Foster a Los Angeles alla consegna del premio alla carriera. Io vedo da una parte la difesa gelosa di un unico modo di fare famiglia e dall’altra la gratitudine di una donna per la famiglia costruita con un’altra donna, con cui ha scelto di avere due figli e di continuare a crescerli, benché ora non sia più la sua partner.

Le coppie omosessuali francesi già dal 1999 possono essere riconosciute tramite il PaCS, il patto civile di solidarietà, ma i conservatori protestano per l’accesso alle adozioni che deriverà dall’apertura del matrimonio voluta dal governo Hollande. I tradizionalisti ripetono che i bambini hanno bisogno e diritto di avere due figure genitoriali naturali, o almeno di sesso diverso, senza rendersi conto di esprimere un giudizio di inadeguatezza non solo sulle coppie omosessuali, ma anche su tutte le famiglie monogenitoriali. In Italia abbiamo avuto pochi giorni fa una sentenza che affida un minore conteso non al padre ma alla madre che vive in coppia con una compagna: “il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale” dà “per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto famigliare”, scrive la Cassazione, con buona pace dei conservatori nostrani che, pensosi, si affannano sui presunti interessi infantili a vivere in un ambiente eterosessuale, senza peraltro trovare alcuna base concreta per i loro preconcetti.

Alla consegna dei Golden Globe, la celebrità del cinema Jodie Foster ha ritenuto di ricordare il suo coming out di tanti anni fa, quando era possibile al massimo confidarsi con gli amici, rinnovandolo oggi con una dichiarazione pubblica della sua scelta di essere madre di due figli cresciuti con una co-parent, cioè una co-mamma.

Penso a chi ha un ruolo pubblico ha la possibilità di lanciare messaggi che cambiano in parte la percezione delle cose e mi chiedo come riescano le italiane affermate nello spettacolo, e in ogni altro ambito della vita pubblica, che hanno compagne di vita e a volte figli, a restare in silenzio davanti al dibattito italiano che parla di noi come indegne di formare famiglie. Come fate? Certo chi ha successo non ha bisogno di diritti, vive al riparo dalle necessità delle persone comuni, ma almeno potrebbe usare il dono della parola per dire la bontà che ha messo nella sua vita. Parlare in certi casi è una questione di rispetto di sé, delle scelte che si sono fatte, delle persone con cui si è coinvolte, ed è anche una responsabilità civica. Lo capisce anche una bambina.

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