L'emittente è nata come uno strumento Usa per fare propaganda oltre Cortina. Il passaggio al digitale ha portato all'allontanamento di molti dipendenti, ma allo stesso tempo si teme un affievolimento della sua funzione proprio in un periodo di "risveglio" dell'attivismo politico a Mosca
Il passaggio al digitale di Radio Liberty lega assieme problemi del giornalismo e vicende storiche sull’asse tra Washington e Mosca. Il richiamo è alle difficoltà degli organi d’informazione tradizionali, a una eco della Guerra Fredda, alla serie di leggi varate dalla Duma che sembrano colpire la attività statunitensi nella Federazione.
Per decenni, all’epoca dello scontro tra i blocchi, Radio Liberty e la casa madre Radio Europa Libera sono state gli strumenti statunitensi per passare informazione e propaganda oltre la Cortina di ferro. Caduta l’Unione Sovietica all’emittente fu concessa l’apertura di un ufficio a Mosca nel 1991 per ottenere la licenza a trasmettere in “AM” l’anno successivo. Nel 2004 la radio contava su una rete di oltre 30 affiliate in tutto il Paese. Ora l’emittente finanziata dal Congresso si riorganizza per il passaggio al digitale, sollecitato dall’entrata in vigore di una legge del 2011 che nega le frequenze alle società non a maggioranza russa. Una legge, sottolineava lo scorso ottobre il direttore generale della radio, Steve Korn, citato dalla National Public Radio, non troppo diversa da quelle in vigore negli Stati Uniti.
A far discutere sono stati però i metodi e la tempistica in cui tutto ciò sta avvenendo. Il cambio di piattaforma ha portato al licenziamento di 37 giornalisti. Alcuni dei reporter rimasti a casa erano tra i più giovani e abili su internet, sottolineano i critici con la linea seguita dalla dirigenza. Allo stesso tempo si teme per un indebolimento di Radio Svoboda (questo il nome in russo) proprio quando il risveglio dell’attivismo politico in Russia sembrava averla riportata alla sua missione originaria.
Settimane di polemiche hanno spinto Korn a rassegnare le dimissioni sebbene ufficialmente per motivi personali, legati alla malattia del padre che non riuscirebbe a seguire stando a Praga dove è alla guida anche della casa madre Radio Europa Libera. Con la scelta digitale si cerca di adattarsi alle abitudini degli ascoltatori russi, ha spiegato al Washington Post la nuova direttrice dell’emettente, la giornalista russo-statunitense, Masha Gessen cui è stato rinfacciato un incontro con Putin nei giorni precedenti i licenziamenti, circostanza che ha scatenato dietrologie circa ipotetiche pressioni. Un incontro, riferiva in quei giorni il Moscow Times, organizzato dal capo di Stato per discutere di un possibile reintegro della giornalista al Vokrug Sveta.
Critiche ha ricevuto anche la proposta di Gessen di puntare su notizie più leggere senza cercare la polemica. Una scelta editoriale scrive John O’Sullivan, già direttore esecutivo di Radio Liberty, in un commento sul Wall Street Journal, in cui la parola libertà è declinata più in relazione ai diritti civili e alla liberalizzazione sessuale e non ai temi politici. O’Sullivan ammette che già durante la sua dirigenza l’emittente aveva puntato su questa strada, ma i tempi sono cambiati. L’anno appena passato ha visto grandi proteste che hanno avuto come bersaglio l’uomo forte del Cremlino tornato presidente a marzo per la terza volta dopo il mandato ponte di Dmitry Medvedev. Nel fine settimana migliaia di manifestanti hanno contestato la controversa legge che vieta le adozioni di bambini russi agli statunitensi, approvata come reazione alle misure decise da Washington contro i funzionari russi considerati responsabili per la morte in carcere dell’avvocato anti-corruzione Sergei Magnitsky.
Delle contestazioni al bando si sono dovuti occupare anche i parlamentari. La Duma ha discusso oggi una petizione presenta su iniziativa della Novaya Gazeta e firmata da oltre 100mila russi che chiedono di emendare la legge. La proposta è stata respinta dal comitato incaricato. Sebbene la legge sulle petizioni risalga a maggio ancora mancano i regolamenti che obbligano l’intera assemblea al voto.
di Andrea Pira