In vista delle elezioni, Pierferdinando Casini pensa alla famiglia e per scegliere i candidati alla Camera guarda direttamente in casa. In Friuli Venezia Giulia, il leader dell’Udc piazza Fabrizio Anzolini, consigliere comunale a Udine, ma soprattutto fidanzato della figlia, Maria Carolina. Più a sud, invece, mette in lista Silvia Noè, imprenditrice nel settore tessile, già consigliere regionale in Emilia Romagna, nonché moglie del fratello, Federico. Ma se il genero, in seconda posizione, difficilmente riuscirà a spuntarla ed entrare a Montecitorio (“è un giovane intelligente ma dovrà ancora trottare” ha detto Casini) la cognata ha un posto quasi assicurato a palazzo.
Così la cattolica di ferro, capogruppo dell’Udc in Emilia Romagna, con un passato da consigliere comunale a Bologna, dal 2006 seduta nei banchi della Regione, si prepara a fare il grande salto. Il suo approdo a Roma è quasi scontato: davanti a lei nella corsa per un posto alla camera c’è solo Gian Luca Galletti, già capogruppo Udc a Montecitorio, e oggi capolista in Emilia Romagna. Ma guai ad azzardare sospetti di nepotismo. Per lei, come per Anzolini. “Non è mio genero e non lo diventerà” ha messo in chiaro Casini ai microfoni di Lucia Annunziata, difendendo la sue scelte. “Sono stato contestato dai giovani friulani perché l’ho messo al secondo posto in una regione dove eleggiamo un solo deputato. È un ragazzo molto intelligente e aspirava ad avere un posto, che probabilmente non avrà”.
Semplici valutazioni di merito, dunque, secondo il leader centrista: “Silvia Noè è mia cognata ed è la più votata dell’Udc in Emilia Romagna, ed è stata in questi dieci anni consigliere regionale. Non penso che possa pagare la parentela all’inverso. Se qualcuno conosce qualcuno più votato me lo indichi”. Prima di Casini, ci aveva provato un anno fa anche il presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani, ad accontentare la capogruppo dell’Udc. Per lei il Pd aveva pensato a un posto alla presidenza della Commissione pari opportunità.
A rovinare i piani furono prima di tutto gli alleati del partitone, Idv e Sel, che scatenarono un fuoco incrociato, puntando i piedi contro la sua candidatura. Ma soprattutto le associazioni per i diritti lgbt, da Arcigay a Rete Laica, pronti a dare battaglia. Impossibile, secondo gli attivisti, affidare la guida delle pari opportunità a chi, fino ad allora, aveva sostenuto “posizioni anti abortiste, contrarie all’esercizio della libertà individuale sui temi della vita e del fine-vita, posizioni discriminatorie nei confronti delle famiglie di chi sceglie di non sposarsi e delle famiglie delle persone omosessuali, bisessuali e trans”.
Tanti malumori che alla fine spinsero il presidente Errani, il primo a promuovere lo spostamento al centro dando il via libera alla presidenza della commissione, a fare marcia indietro, sacrificando la casiniana Noè e con lei le prove di alleanza con il centro. Alla guida della commissione andò Roberta Mori, ex sindaco Pd di Castelnuovo di sotto, piccolo comune di Reggio Emilia, e figura più adatta a mettere d’accordo le diverse anime della sinistra emilianoromagnola.