Non c’è supporto scientifico solido, ma l’immaginazione popolare vuole che i lemming, piccoli roditori artici, si comportino in una maniera particolare: quando la loro colonia diventa troppo grande e quindi il cibo comincia a scarseggiare, si suicidano. In massa si avviano verso il mare dove trovano la morte per annegamento. Se la cosa risponde a verità, nel loro Dna ci sarebbe un’istruzione che fa scattare un’attrazione incoercibile verso il mare dove troveranno la morte. Il problema è “sono consapevoli che vanno verso la morte?”
Anche noi umani ci siamo trasformati in lemming: ci stiamo suicidando in massa e temo che pochi se ne rendano davvero conto.
Abbiamo modificato l’ambiente in cui viviamo tanto da cambiare il clima. Cataclismi meteorologici come uragani, inondazioni e quant’altro sono sempre più all’ordine del giorno. Abbiamo visto a dir poco insolite tempeste tropicali a New York. L’uomo con le sue attività ha inquinato l’aria tanto da renderla in alcuni casi non più idonea ad essere respirata. Abbiamo avvelenato l’acqua ed il suolo tanto da rendere questo ambiente non più ospitale per la vita. Ci ammaliamo più spesso e ci ammaliamo sempre di più di malattie infrequenti quando non sconosciute del tutto, o ci ammaliamo di malattie mai prima riscontrate insieme – sindromi nel linguaggio medico – malattie che portano più o meno lentamente alla morte.
Non tutti se ne rendono conto perché – dicono – non sembra esserci una correlazione diretta fra le piccole dosi di polveri che giornalmente inaliamo e le patologie che poi sviluppiamo. Ma ci sono esempi storici che stridono con l’assunto. Ricordiamo uno dei casi più eclatanti: le 12.000 persone morte a Londra tra il 5 e il 9 dicembre 1952 e le 100.000 ammalate per la “pea soup”, lo smog della Londra di allora. In quel caso la polvere di carbone sospesa nell’aria era veramente troppa. Il punto è che non sappiamo qual è la soglia, quant’è quel troppo. Certo non è uguale per tutti. Per vecchi e bambini il valore di soglia è molto più basso rispetto agli adulti relativamente giovani. Difficile poi dire, per ogni organismo, quando si raggiunge il valore limite di sopportabilità. I segnali che questi limiti sono stati mediamente superati ci sono già, anche se facciamo finta di niente.
In un ambiente inquinato anche acqua e cibo sono di conseguenza inquinati. Mangiare e bere può indurre patologie quanto meno dell’apparto digerente. Non stiamo parlando di composti chimici tossici come, ad esempio, il cianuro. Se s’ingerisce una dose letale di cianuro o di qualsiasi altro veleno, si muore in un fiato. Qui stiamo parlando di polveri che entrano nel nostro corpo, giorno dopo giorno, in piccole dosi, lo invadono subdolamente e, visto che il nostro organismo non ha meccanismi di eliminazione, quelle se ne appropriano. Alcune, i granelli dal diametro più piccolo, le nanoparticelle, sono molto ambiziose: mirano al cuore della cellula, al Dna, e tentano di modificarlo. Alcune volte, troppo spesso, ci riescono. Stante l‘incremento dei tumori e di malattie ad oggi misteriose direi che, pur nella loro piccolezza, stanno vincendo loro, le nanoparticelle. E noi siamo impotenti verso questo nano-cosmo non biodegradabile, non compatibile con la nostra vita, spesso eterno per quello che può significare quell’aggettivo nella concezione umana del tempo. Ma, creatori grottescamente impazziti, questo micro- e nano-cosmo l’abbiamo forgiato noi. Abbiamo creato polveri che sono multipotenti perché, se raggiungono il cervello, possono condizionare in maniera tanto varia quanto imprevedibile il suo buon funzionamento; se raggiungono la placenta ed il feto, possono condizionarne il suo futuro alterandone le funzioni e perfino la forma. Stiamo alterando la nostra specie. Di fatto la stiamo ammazzando. Lo stesso facciamo agli animali e alle piante.
I Maya avevano ragione: grossi cambiamenti avverranno il 21 dicembre 2012.
Non so che valore abbia quella data precisa. Il punto è che il cambiamento era già iniziato: ora è solo macroscopicamente visibile. Visibile a chi ha l’onestà e il coraggio di volerla vedere, naturalmente. Io credo che questa umanità sia già al collasso. La gente lo avverte sulla pelle, non sempre consciamente nel cervello. Mai come ora ho visto tanta irrazionalità, tanta insofferenza, tanta litigiosità, tanta cattiveria gratuita, tanta sopraffazione. Il mondo umano sembra essere impazzito nello spasmo della morte.
La nostra specie ha l’aspetto e il comportamento di chi è arrivato al capolinea. Stiamo morendo ma, soprattutto, muoiono i nostri figli, gli esseri più deboli, la continuità della specie. Vedi ad esempio i bimbi di Taranto che nascono già col cancro o i bimbi malformati, mai nati, di Priolo. L’unica cosa che non sappiamo è se abbiamo già superato il punto di non ritorno, cioè se l’uomo è ancora in grado di ripristinare un ambiente ecosostenibile o sta precipitando senza possibilità di salvezza. Forse i Maya volevano dirci che il punto di non ritorno è stato superato.
Questo non è catastrofismo: è solo una lettura dei i fatti. Se si va negli ospedali, ad esempio in quelli di Brescia, di Mantova, di Taranto, specialmente nei reparti di oncoematologia o di pediatria, ci si rende conto di come le patologie sono cambiate nel giro di non più di un paio di decenni.
Una volta c’era chi diceva, rovesciando la frase di Einstein, che Dio gioca a dadi con l’uomo. Io dico, invece, che è iniziata una roulette russa. Tutti noi del mondo industrializzato abbiamo una pistola puntata alla tempia. Chi sarà il prossimo?
Ho detto che non sappiamo localizzarci rispetto al punto di non ritorno: prima o dopo? Dovunque siamo, però, abbiamo il dovere morale biologico, se mi è permesso di usare quest’ultimo aggettivo come lo sto usando, di fare tutto ciò che è possibile fare per invertire la caduta. I politici sono chiamati in prima linea per questa battaglia.