“Le donne sono l’anello debole di una società in cui è parzialmente ancora inculcata l’assurda mentalità della femmina come oggetto del possesso. Lo dico con tutto il rammarico, ma sarebbe bene che di sera non uscissero da sole”, così Francesco Dettori, procuratore capo del tribunale di Bergamo, ha commentato i tre stupri avvenuti in pochi giorni tra Milano e Bergamo.

Eppure anche le sue parole rivelano quel senso di possesso della donna come oggetto, qualcosa che deve essere tutelato e difeso. La tutela della donna, una soluzione antica per una violenza altrettanto antica. Antica quanto inutile. Dopo i tanti vademecum antistupro, i consigli su come vestirsi, atteggiarsi e camminare, i collari anti aggressione, ecco il consiglio di non uscire di casa o di farlo ma accompagnate (da un fidanzato, fratello, marito, padre?).

Ma lo stupro, come la violenza sulle donne, non è un problema di comportamenti femminili e tantomeno di sicurezza. La brutale aggressione avvenuta a L’Aquila che ridusse in fin di vita una studentessa avvenne ad opera di un militare che era in missione proprio per la sicurezza della città. “Chi ci protegge dai protettori?” domandava un antico slogan femminista.

E’ sempre fuorviante e sbagliato ricercare le cause in comportamenti delle vittime: gli inutili consigli sull’abbigliamento e gli inviti a non essere ‘provocanti sessualmente’ sono solo giustificati dai pregiudizi sullo stupro che colpevolizzano la donna o la responsabilizzano. La violenza sessuale non scaturisce dall’eros perché è legato alla volontà di denigrare, umiliare la vittima e annichilirla. E’ una metafora della morte ed è piuttosto affine a thanatos.

Testimonianze di stupratori confermano che la scelta della vittima è fatta a prescindere dall’età, dall’aspetto fisico, o dal comportamento. Quanto a non uscire di casa che cosa si dovrebbe consigliare alle donne che con gli autori delle violenze convivono? Sappiamo che le violenze sulle donne da parte di estranei sono solo la più piccola percentuale delle violenze che colpiscono le donne perché nel 75% dei casi, secondo i dati dei centri antiviolenza, sono attuate dal partner.

I messaggi o i consigli rivolti alle donne per evitare lo stupro servono solo ad alimentare e mantenere in vita un retaggio culturale che vorremmo lasciarci alle spalle e che continuano ad esporre le donne alla stigmatizzazione sociale quando sono aggredite e non agevolano lo svelamento della violenza per permettere loro di elaborarla e chiedere aiuto.

Il piano del problema resta di cultura e di civiltà. Ci piacerebbe una volta tanto che i messaggi sullo stupro fossero rivolti agli aggressori, e che non si possa più chiedere alle donne di scegliere tra autodeterminazione ed incolumità fisica o sessuale, tra la loro libertà e la loro vita.

Nadia Somma

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