La storia della democrazia è da sempre anche storia di suffragio e di diritto al voto. L’estensione progressiva del suffragio fino ad arrivare al suffragio universale, prima maschile e poi senza distinzioni di genere, ha marcato le tappe dello sviluppo delle democrazie cosiddette occidentali, quelle che per prime hanno raggiunto, indicativamente nel secondo dopoguerra, il traguardo di democrazie rappresentative.
La democrazia per come la conosciamo oggi è democrazia rappresentativa e si basa sulla delega che i cittadini decidono di consegnare a politici da loro scelti attraverso il voto, quale simbolo dell’espressione della sovranità popolare, principio cardine degli Stati contemporanei, anche in un contesto sempre più globale, sempre più europeo, nel nostro caso.
In Italia il suffragio universale maschile e femminile è stato un traguardo raggiunto per la prima volta nel 1946 e il diritto al voto quale elemento fondante della cittadinanza è stato inserito nella nostra Costituzione, seguendo il percorso già tracciato dalle altre democrazie occidentale.
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Nonostante la chiarezza dell’articolo 48 della Costituzione, il riferimento al fatto che la “legge” stabilisce i requisiti e le modalità per l’esercizio di tale diritto all’estero crea non pochi problemi.
Infatti in base alla legge 27 dicembre 2001, n°459, e ai sensi del Decreto-legge 18 dicembre 2012, n°233, oltre ovviamente ai cittadini con doppia nazionalità o agli italiani che dichiarano congiuntamente a certificati il soggiorno all’estero per un periodo superiore ai 12 mesi, possono votare per corrispondenza, previa apposita dichiarazione, le seguenti tipologie di elettori temporaneamente ( meno di 12 mesi ) all’estero per motivi di servizio o missioni internazionali:
appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia temporaneamente all’estero in quanto impegnati nello svolgimento di missioni internazionali;
dipendenti di amministrazioni dello Stato, di regioni o di province autonome, temporaneamente all’estero per motivi di servizio, qualora la durata prevista della loro permanenza all’estero, secondo quanto attestato dall’Amministrazione di appartenenza, sia superiore a tre mesi e inferiore a dodici mesi, ovvero non siano comunque tenuti ad iscriversi all’AIRE ai sensi della legge 27 ottobre 1988, n. 470, nonché, qualora non iscritti alle anagrafi dei cittadini italiani residenti all’estero, i loro familiari conviventi;
professori e ricercatori universitari di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, titolari di incarichi e contratti ai sensi dell’articolo 1, comma 12, della legge 4 novembre 2005, n. 230, e di cui alla legge 30 dicembre 2010, n. 240, che si trovano in servizio presso istituti universitari e di ricerca all’estero per una durata complessiva di almeno sei mesi e non più di dodici mesi che, alla data del decreto del Presidente della Repubblica di convocazione dei comizi, si trovano all’estero da almeno tre mesi, nonché, qualora non iscritti nelle anagrafi dei cittadini italiani all’estero, i loro familiari conviventi.
Vengono praticamente esclusi dall’esercizio del diritto di voto per corrispondenza circa 22.000 altri italiani e italiane all’estero: coloro che soggiornano all’estero presso istituti universitari per un periodo tra i 3 e i 9 mesi ma che non sono né professori né ricercatori, gli studenti.
Decine di migliaia di ragazzi e ragazze decidono annualmente di incrementare la propria formazione beneficiando di uno dei progetti più importanti dell’Unione Europea, il progetto Erasmus. Lo scopo è quello di confrontarsi con una realtà culturale diversa, imparare una nuova lingua, confrontarsi con istituti universitari non nazionali, incrementare il sentimento europeo favorendo una “mobilità” transnazionale che dovrebbe essere una caratteristica fondamentale delle nuove generazioni.
Eppure questa scelta, tanto importante a livello formativo e culturale, presenta non poche problematiche: dall’estenuante iter burocratico, ai pochi contributi che vengono forniti che nella migliore (e veramente la migliore) delle ipotesi aiutano solo (e molto spesso parzialmente) nell’affitto, all’esclusione non da poco, de facto, dall’esercizio del diritto al voto come italiani all’estero, quindi per corrispondenza o presso gli uffici di rappresentanza.
La scelta compiuta nel lontano 2001 e riconfermata a quanto pare ogni elezione legislativa (quindi da governi di destra come di sinistra) dimostra l’atteggiamento fortemente discriminatorio dei governi italiani nei confronti della categoria degli studenti, una di quelle categorie che più invece dovrebbero essere tutelate. Sulla base di quali motivazioni i professori-ricercatori e gli studenti devono essere differenziati se fanno parte di uno stesso progetto di scambi? In base a quale motivo gli studenti devono essere de facto esclusi dall’esercizio di uno dei diritti fondamentali di cittadinanza alias il diritto di voto e quindi di esprimere la propria sovranità scegliendo chi delegare alla guida del Paese?
La storia politica italiana degli ultimi anni è storia di disaffezione politica, di astensionismo, di elezioni dove manciate di voti (25.000 circa nel 2006) determinano la vittoria o la sconfitta. Proprio per questi motivi è inaudito pensare di escludere circa 22.000 persone dalle urne, in quanto impossibilitati a spostarsi o perché obbligati a dover pagare di tasca propria il viaggio per rientrare in Italia per votare nella propria circoscrizione elettorale.
Pertanto lancio un appello alle forze politiche che animeranno il nuovo Parlamento nella prossima legislatura affinché si impegnino a modificare questa normativa al fine di eliminare formalmente e sostanzialmente questa discriminazione garantendo la parità di opportunità per tutti quelli che si trovano all’estero per validi di motivi di esercitare il proprio diritto di voto.
Lo chiedo alle formazioni di destra così come a quelle di centro e di sinistra, perché questa battaglia non ha colore politico ma dovrebbe essere condivisa da tutti coloro che credono nella democrazia e nell’esercizio dei diritti fondamentali.
Lo chiedo in maniera particolare a chi si dichiara progressista; a chi ha intrapreso un percorso di democrazia e partecipazione come quello delle primarie per la scelta del leader e dei componenti delle liste elettorali, come mezzo per superare la disaffezione politica in questo Paese. Lo chiedo quindi in primis a quella coalizione che si chiama Italia Bene Comune e che si dice rappresentativa dell’ ”Italia Giusta”; se si lotta per l’Italia giusta si lotta per la giustizia sociale e l’equità e allora questa è un battaglia che deve essere condivisa e portata avanti.
Lo chiedo ai candidati, specialmente quelli direttamente eletti tramite le primarie, affinché non rappresentino solo un cambiamento formale ma anche sostanziale attraverso la condivisione di battaglie nuove che da 10 anni sono state dimenticate, come questa del Voto all’estero per gli Studenti Erasmus.
Lo chiedo alle forze extraparlamentari, che siano esse le giovanili dei partiti, le associazioni o i sindacati universitari, perché credo che questa debba essere una delle tante battaglie per i giovani e dei giovani, che possiamo portare avanti tutti insieme, senza futili divisioni ideologiche.
Lo chiedo infine alla società tutta, perché spero che tutti comprendano che le problematiche legate ad una categoria socio professionale non siano solo i problemi di un gruppo ma i problemi di tutti. Si va avanti tutti insieme o tutti insieme restiamo indietro.
Sperando nella più larga condivisione,
Gianmarco Capogna, studente della Laurea Magistrale in Scienze Internazionali curriculum in Studi Europei presso l’Università degli Studi di Siena, studente visitante (Erasmus) presso l’Institut d’Etudes Politiques di Strasburgo nell’anno accademico (ed elettorale) 2012/2013